La Nuova Sardegna

Sassari

Odissea al pronto soccorso di Sassari, attesa di 12 ore per una distorsione

di Luigi Soriga
Odissea al pronto soccorso di Sassari, attesa di 12 ore per una distorsione

Uno studente si è presentato alle 17, è stato visitato alle 6 del mattino ed è tornato a casa in stampelle alle 11.30

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SASSARI. Il pronto soccorso di Sassari non si è mai contraddistinto per la velocità delle prestazioni, ma dal primo gennaio, ovvero da quando l’Asl è stata incorporata nell’Aou, i tempi di attesa sono diventati da paese del terzo mondo. Può capitare infatti che se entri con una brutta distorsione alla caviglia alle 17,30, non ti visiti alcun medico prima delle 6 del mattino e riesca a tornare a casa con un bendaggio rigido e un mese di tutore solo alle 11,30 del giorno dopo. Dodici ore buttato in sala d’attesa in attesa di essere visitato, con dolori lancinanti, e con un piede che ora dopo ora continua a ingrossarsi come una zampogna. È successo lunedì a Gavino Zedda, uno studente di Sassari di 19 anni, che ha avuto la prima sfortuna di cadere dalla bicicletta, e la seconda sfiga di chiedere assistenza al pronto soccorso.

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«Mi sono presentato al triage, un infermiere ha chiesto cosa avessi, ho raccontato di essere caduto e di avere la caviglia gonfia, e mi è stato assegnato il codice verde. Dopodiché le sole parole che mi sono sentito dire da quel momento in poi, sono state “deve aspettare” e “abbia pazienza”». Però ad ogni ambulanza che arrivava e ad ogni nuova emergenza il momento della visita slittava di qualche ora. «Chi ha avuto una distorsione sa quanto possa fare male. Ho chiesto degli antidolorifici o del ghiaccio. Mi è stato detto che solo il medico poteva prescriverli. Ho chiesto almeno una sedia a rotelle con la possibilità di tenere la gamba sollevata, in modo da contenere il versamento. Niente: non ne avevano a disposizione. Sono rimasto buttato su una panchina, con la gamba penzoloni per 12 ore, con i miei amici e i miei genitori che hanno fatto i turni per tenermi compagnia. E la cosa incredibile è che come me c’erano altre 10-15 persone. Qualcuno ha perso la pazienza e ha chiamato i carabinieri. Ma più che verificare la situazione, non hanno potuto far altro».

La cosa inquietante, infatti, è che otto o dieci ore di attesa per un codice verde (urgenza minore - il paziente riporta delle lesioni (traumi minori, fratture, ecc) o lamenta dei sintomi che però non interessano le funzioni vitali, ma ha necessità di ricevere delle cure) è diventata una prassi, e chi arriva all’ospedale senza una testa spaccata deve rassegnarsi all’interminabile purgatorio di un turno che non arriva mai. E il pronto soccorso è il primo approccio che il paziente ha con la sanità, è il biglietto da visita. Se questo è il benvenuto, allora si capisce bene il grido d’allarme lanciato da primari e direttori, che si lamentano di lavorare in condizioni insostenibili e denunciano di non essere più in grado di tutelare la vita dei propri pazienti.

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