Sassari "arancione", Vito Senes: «Ho cancellato 137 prenotazioni»
Roberto Sanna
Il decano della ristorazione isolana racconta il dramma del week-end in zona arancione
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SASSARI. «Lavoro in questo settore dal 1975: ho cominciato con una gelateria, poi con un bar e nel 1982 ho aperto il ristorante. E non ho mai visto una crisi come questa. Perché i momenti difficili capitano a tutti, è normale, stringi i denti e cerchi di sopravvivere in attesa di tempi migliori; a differenza di altre volte, però, non vedo la luce». Anche Vito Senes, uno dei decani della ristorazione in Sardegna, sta cominciando a barcollare.
Il suo locale di Sennori, da sempre meta di tante famiglie e appassionati di enogastronomie, ha dovuto subire la bastonata di una chiusura improvvisa quando già la spesa per il week-end era stata fatta: «Ho conservato la lista delle prenotazioni e ho fatto i conti: la zona arancione mi è costata l’annullamento di 137 prenotazioni – dice –. Annullate quando già avevo fatto la spesa: significa che non ho avuto l’incasso e, in più, pagato i fornitori. Farci chiudere la domenica, e dircelo il sabato, ci ha letteralmente ammazzato. Evidentemente chi prende certe decisioni non ha la minima idea di come funzioni il nostro settore e nemmeno di quanto costi, e cosa significhi, mettere in moto un ristorante. Parlo per me e parlo anche per i miei dieci dipendenti. Ho chiamato anche altri colleghi, erano distrutti. Ho paura che questa volta qualcuno lascerà le penne e non riaprirà più, è difficile andare avanti in questo modo».
Una botta durissima che si inserisce in una situazione molto più complessa che va avanti ormai da quasi un anno: «Diciamolo chiaramente: da marzo in poi, abbiamo lavorato seriamente per non più di due mesi e mezzo, forse tre. Abbiamo perso praticamente tutte le giornate di festa: Pasqua, Pasquetta, Natale, Capodanno, il Primo maggio. Così non si va avanti. E io, rispetto ad altri, sto meglio perché posso dire di aver lavorato bene in estate – aggiunge –. Non abbiamo potuto fare la parte dei matrimoni e non è poco, ma devo dire che è andata bene. Così ho messo dei risparmi nel cassetto, ma continuando così il gioco finisce perché se togli senza mettere prima o poi il cassetto si svuota. Andrebbe bene anche solo far girare la macchina per tenerla viva e andare pari, ma così ci sono solo spese. E gli aiuti dello Stato finiscono subito: con le bollette e gli F24 dei dipendenti i soldi non li ho nemmeno visti». E le soluzioni per sopravvivere non sono poi molte e nemmeno produttive: «La cassa integrazione dei dipendenti è misera, per non parlare di tutto l’indotto. Perché io ogni giorno faccio la spesa, compro il pane e il vino, pago i fornitori. Anzi, pagavo. L’asporto? Diciamo la verità, serve per tenersi vivi. Lo fanno un po’ tutti ma più per garantire il servizio che per guadagnare. In un piccolo centro come questo, col divieto di spostamento, non conviene nemmeno: se mi arriva l’ordine per un pranzo di dieci persone posso anche pensare di farlo, ma tenere aperto un locale come questo per due antipasti e un primo non ha senso. Mi sto inventando di tutto per non fermarmi, ho anche fatto le pulizie generali e smontato due volte le cucine».
A tenere il basso il morale di uno che pure ne ha viste di tutti i colori in 45 anni di onorata attività è l’assenza di prospettive: «Mi stanno disarmando, e dire che io sono sempre uno che ha fiducia. Anche nel 2008 e nel 2009 la crisi ha picchiato duro, e anche quando ho fatto l’investimento del nuovo locale ho dovuto stringere i denti. Ma anche in quei momenti difficili – conclude – avevo la sensazione che comunque ci sarebbe stato un domani. Adesso no, e questo mi fa paura».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il suo locale di Sennori, da sempre meta di tante famiglie e appassionati di enogastronomie, ha dovuto subire la bastonata di una chiusura improvvisa quando già la spesa per il week-end era stata fatta: «Ho conservato la lista delle prenotazioni e ho fatto i conti: la zona arancione mi è costata l’annullamento di 137 prenotazioni – dice –. Annullate quando già avevo fatto la spesa: significa che non ho avuto l’incasso e, in più, pagato i fornitori. Farci chiudere la domenica, e dircelo il sabato, ci ha letteralmente ammazzato. Evidentemente chi prende certe decisioni non ha la minima idea di come funzioni il nostro settore e nemmeno di quanto costi, e cosa significhi, mettere in moto un ristorante. Parlo per me e parlo anche per i miei dieci dipendenti. Ho chiamato anche altri colleghi, erano distrutti. Ho paura che questa volta qualcuno lascerà le penne e non riaprirà più, è difficile andare avanti in questo modo».
Una botta durissima che si inserisce in una situazione molto più complessa che va avanti ormai da quasi un anno: «Diciamolo chiaramente: da marzo in poi, abbiamo lavorato seriamente per non più di due mesi e mezzo, forse tre. Abbiamo perso praticamente tutte le giornate di festa: Pasqua, Pasquetta, Natale, Capodanno, il Primo maggio. Così non si va avanti. E io, rispetto ad altri, sto meglio perché posso dire di aver lavorato bene in estate – aggiunge –. Non abbiamo potuto fare la parte dei matrimoni e non è poco, ma devo dire che è andata bene. Così ho messo dei risparmi nel cassetto, ma continuando così il gioco finisce perché se togli senza mettere prima o poi il cassetto si svuota. Andrebbe bene anche solo far girare la macchina per tenerla viva e andare pari, ma così ci sono solo spese. E gli aiuti dello Stato finiscono subito: con le bollette e gli F24 dei dipendenti i soldi non li ho nemmeno visti». E le soluzioni per sopravvivere non sono poi molte e nemmeno produttive: «La cassa integrazione dei dipendenti è misera, per non parlare di tutto l’indotto. Perché io ogni giorno faccio la spesa, compro il pane e il vino, pago i fornitori. Anzi, pagavo. L’asporto? Diciamo la verità, serve per tenersi vivi. Lo fanno un po’ tutti ma più per garantire il servizio che per guadagnare. In un piccolo centro come questo, col divieto di spostamento, non conviene nemmeno: se mi arriva l’ordine per un pranzo di dieci persone posso anche pensare di farlo, ma tenere aperto un locale come questo per due antipasti e un primo non ha senso. Mi sto inventando di tutto per non fermarmi, ho anche fatto le pulizie generali e smontato due volte le cucine».
A tenere il basso il morale di uno che pure ne ha viste di tutti i colori in 45 anni di onorata attività è l’assenza di prospettive: «Mi stanno disarmando, e dire che io sono sempre uno che ha fiducia. Anche nel 2008 e nel 2009 la crisi ha picchiato duro, e anche quando ho fatto l’investimento del nuovo locale ho dovuto stringere i denti. Ma anche in quei momenti difficili – conclude – avevo la sensazione che comunque ci sarebbe stato un domani. Adesso no, e questo mi fa paura».
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