“L’uomo della burrasca” al servizio del Papa Re
di Barbara Mastino
Ozieri, una stradina del centro intitolata al frate cappuccino Salvatore Saba. Fece carriera in Vaticano diventando vescovo e nunzio apostolico nelle Indie
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OZIERI. Una via incastonata nel centro storico, tra Sa falada ‘e Pedru Mele (via Regina Elena) e le viuzze che portano sino alla parrocchiale di Santa Lucia, ricordano a Ozieri una figura che in pochi conoscono ma che ha lasciato un segno profondo nella storia d’Italia - e per certi versi non solo. È il frate cappuccino Salvatore Saba, immortalato nella via ozierese come Monsignore, essendo assurto ad altissimi livelli nella Chiesa Romana governata dal Papa Re Pio IX sino a ottenere la nomina vescovile e di Nunzio nelle Indie. Fu segretario generale dei Cappuccini ma soprattutto è annoverato come uno degli estensori del Sillabo, la dura condanna della Chiesa alla “modernità”.
Frate Salvatore Saba, al secolo Pietrino, nacque a Ozieri nel 1795. Prese i voti cappuccini a 17 anni e a 34 vinse il concorso per la cattedra di Teologia; due anni dopo era già segretario generale dell’ordine dei Cappuccini. Fu amico personale del canonico Giovanni Spano, fine linguista e autore del più noto vocabolario sardo-italiano nonché, come frate Salvatore, appassionato di storia. Fu Consultore di Propaganda Fide a Ozieri sino a che, nel 1849, fu chiamato a Roma come reggente della Procura Generale. Il papa Pio IX in quei tempi era in esilio a Gaeta dopo i moti popolari e la nascita della Repubblica Romana, e nel suo periodo di reggenza frate Salvatore si dovette occupare di gestire la grande tensione che serpeggiava nella Caput Mundi. Si conquistò così la fiducia e la stima del pontefice, che soleva definirlo “l’uomo della burrasca”. Stesso titolo della biografia che a Saba dedicò il canonico di Buddusò Giovanni Battista De Melas. In quegli anni frate Salvatore strinse amicizia anche con Elisabetta Sanna, terziaria francescana originaria di Codrongianos che morì nel 1857 in un “odore di santità” che lo stesso Saba testimonió autorevolmente, contribuendo in modo importante all’avvio della causa di beatificazione della venerabile. Nello stesso periodo ricoprì anche numerose cariche nell’ordine dei Cappuccini, sino a divenire nel 1853 Ministro Generale, incarico che tenne sino al 1859.
Fine teologo e studioso, fu chiamato nel 1862 da Pio IX nella commissione incaricata di stilare il “Manifesto dell’antiliberalismo” - il “Sillabo” - la pesante condanna del Papa Re agli errori dei moti liberali: su tutti il panteismo, il razionalismo, il social-comunismo e la massoneria. In pratica, il manifesto contro quella dottrina di separazione tra Stato e Chiesa che è l’ossatura ancora oggi del pensiero liberale. Questa sua attiva partecipazione all’estensione di uno dei più densi - e discussi - trattati della Chiesa preconciliare gli valse la nomina vescovile, che arrivò nel settembre 1862 per la diocesi di Cartagine (Tunisia).
Fu una nomina formale: subito dopo il Papa inviò monsignor Saba come Nunzio Apostolico nelle Indie Orientali (i possedimenti portoghesi del sub continente indiano) incaricandolo di seguire da vicino le spinose questioni diplomatiche del tempo. Ma il frate teologo - e fine politico - non ebbe maniera di portare avanti il compito assegnatogli dal pontefice perché morì il 29 maggio 1863. «Alla notizia della sua morte papa Pio IX pronunciò la seguente frase: Roma è stata privata di uno dei suoi più dotti teologi», ricorda lo storico Michele Calaresu. Una figura che si staglia imponente nel già ampio panorama degli ozieresi celebri e che meriterebbe forse più attenzione oltre alla datata intitolazione di una via del centro storico. Ma i tempi cambiano, e capita che certi personaggi vengano dimenticati o accantonati.
Frate Salvatore Saba, al secolo Pietrino, nacque a Ozieri nel 1795. Prese i voti cappuccini a 17 anni e a 34 vinse il concorso per la cattedra di Teologia; due anni dopo era già segretario generale dell’ordine dei Cappuccini. Fu amico personale del canonico Giovanni Spano, fine linguista e autore del più noto vocabolario sardo-italiano nonché, come frate Salvatore, appassionato di storia. Fu Consultore di Propaganda Fide a Ozieri sino a che, nel 1849, fu chiamato a Roma come reggente della Procura Generale. Il papa Pio IX in quei tempi era in esilio a Gaeta dopo i moti popolari e la nascita della Repubblica Romana, e nel suo periodo di reggenza frate Salvatore si dovette occupare di gestire la grande tensione che serpeggiava nella Caput Mundi. Si conquistò così la fiducia e la stima del pontefice, che soleva definirlo “l’uomo della burrasca”. Stesso titolo della biografia che a Saba dedicò il canonico di Buddusò Giovanni Battista De Melas. In quegli anni frate Salvatore strinse amicizia anche con Elisabetta Sanna, terziaria francescana originaria di Codrongianos che morì nel 1857 in un “odore di santità” che lo stesso Saba testimonió autorevolmente, contribuendo in modo importante all’avvio della causa di beatificazione della venerabile. Nello stesso periodo ricoprì anche numerose cariche nell’ordine dei Cappuccini, sino a divenire nel 1853 Ministro Generale, incarico che tenne sino al 1859.
Fine teologo e studioso, fu chiamato nel 1862 da Pio IX nella commissione incaricata di stilare il “Manifesto dell’antiliberalismo” - il “Sillabo” - la pesante condanna del Papa Re agli errori dei moti liberali: su tutti il panteismo, il razionalismo, il social-comunismo e la massoneria. In pratica, il manifesto contro quella dottrina di separazione tra Stato e Chiesa che è l’ossatura ancora oggi del pensiero liberale. Questa sua attiva partecipazione all’estensione di uno dei più densi - e discussi - trattati della Chiesa preconciliare gli valse la nomina vescovile, che arrivò nel settembre 1862 per la diocesi di Cartagine (Tunisia).
Fu una nomina formale: subito dopo il Papa inviò monsignor Saba come Nunzio Apostolico nelle Indie Orientali (i possedimenti portoghesi del sub continente indiano) incaricandolo di seguire da vicino le spinose questioni diplomatiche del tempo. Ma il frate teologo - e fine politico - non ebbe maniera di portare avanti il compito assegnatogli dal pontefice perché morì il 29 maggio 1863. «Alla notizia della sua morte papa Pio IX pronunciò la seguente frase: Roma è stata privata di uno dei suoi più dotti teologi», ricorda lo storico Michele Calaresu. Una figura che si staglia imponente nel già ampio panorama degli ozieresi celebri e che meriterebbe forse più attenzione oltre alla datata intitolazione di una via del centro storico. Ma i tempi cambiano, e capita che certi personaggi vengano dimenticati o accantonati.