Ogni giorno 480 chilometri per lavorare, l'odissea di una donna di Porto Torres con l'impiego a Cagliari
Una dipendente di Poste Italiane: «Nessuno in Italia tutela le madri»
Porto Torres Avanti e indietro sull’asse Porto Torres-Cagliari ogni giorno, 480 km quotidiani per poter lavorare e dare una mano alla famiglia. È la fatica quotidiana alla quale si sottopone una donna, madre di due bambini di 3 e 7 anni, dipendente delle Poste Italiane che ancora non riesce a ottenere il trasferimento e nemmeno un semplice avvicinamento.
La graduatoria non glielo consente ma, si chiede, «come è possibile che ancora oggi, nel 2023, una donna, una madre, debba scegliere tra famiglia e lavoro? Dopo un incidente sul lavoro causato da un colpo di sonno, dopo un malore in ufficio, dopo aver sofferto gravi danni psicologici, sono ormai stremata e temo che presto sarò costretta a dare le dimissioni. Ma voglio comunque raccontare la mia storia». Una vicenda che comincia nel 2013 quando la donna viene assunta dopo un ricorso. Destinazione Cagliari e per un po’ va anche bene ma la situazione si complica quando arriva il primo figlio: «Mio marito è un imprenditore agricolo e non può certo spostare la sua attività. Per un anno, dopo la nascita del bambino, sono riuscita ad avere un periodo di distacco a Sassari ma poi è finito». E di nuovo su e giù per la 131: «Spostare la famiglia, che nel frattempo si è ulteriormente ampliata, purtroppo è impossibile. Riesco a ridurre le spese e anche un po’ la fatica utilizzando BlaBlaCar, ma non potrò andare avanti per molto tempo. All’inizio consegnavo la corrispondenza, dopo l’incidente mi hanno spostata in ufficio. I colleghi? Da loro ho solo compassione. L’azienda mi ha fatto capire che se mi sta bene è così, altrimenti posso andarmene. Prima o poi lo farò ma non riesco a credere che una qualche soluzione non si possa trovare. Avevo chiesto nel 2019 di essere avvicinata a Oristano, sarebbe stato più semplice, ma purtroppo i posti a disposizione erano tre e io ero la quarta in graduatoria».
La sveglia, ogni giorno, suona alle 5,30. Alle 5,50 arriva il passaggio in auto, l’ingresso al lavoro è alle 9,30 fino alle 17, il rientro a casa non prima delle 19,30. «Ai bambini pensa mio marito e i nonni ci danno una grossa mano – racconta la donna – ma anche questo non può funzionare per sempre. Ormai mi sento al capolinea e, nonostante formalmente sia tutto regolare, vivo la mia situazione come una grande ingiustizia».