La Nuova Sardegna

Sassari

Il racconto

A passeggio con Bruno il pizzaiolo: «Il centro storico è l’anima della città ma i sassaresi devono viverlo»

di Luca Fiori
A passeggio con Bruno il pizzaiolo: «Il centro storico è l’anima della città ma i sassaresi devono viverlo»

Arrivato come militare nel 1965, tre anni dopo ha aperto il suo primo locale: «La Margherita costava 50 lire»

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Sassari «La vedi quella serranda arrugginita laggiù? Nel 1968 proprio lì, in via Decimario, a due passi dalla Cattedrale di San Nicola, ho aperto la mia prima pizzeria, avevo 12 tavoli e facevo anche 200 pizze a serata». Era finito a Sassari per caso nel 1965 Sabino Giordano, per tutti i sassaresi Bruno, quando a 18 anni la chiamata alle armi lo aveva raggiunto in Piemonte, dove si era trasferito 13enne, lasciando da solo Sanza, un piccolo paese del salernitano, per cercare fortuna nel Nord Italia. «Una Margherita nel 1968 – racconta Bruno – costava 50 lire. All’epoca a Sassari c’erano solo tre pizzerie Leggeri, Muroni e Marini e io, terminato il servizio militare, decisi di restare qui e aprire la quarta». Fu proprio in quel locale del centro storico che conobbe sua moglie Costantina Simula, sassarese, dalla quale ha avuto 4 figli.

«In quegli anni Sassari per me era la città più bella d’Italia» racconta il pizzaiolo, mentre dal Duomo si dirige verso il corso Vittorio Emanuele, per un viaggio nel passato e una chiacchierata condita di ricordi e speranze, per un posto in cui ha scelto di trascorrere la sua vita e che ora quasi non riconosce più. Tra un saluto veloce e uno scambio di battute con chi lo riconosce per strada, Bruno, 81 anni tra qualche giorno, tira dritto fino al civico 148 del Corso, dove nel 1972 ha aperto il suo secondo locale cittadino, dopo aver chiuso quello di via Decimario. «Il prezzo della Margherita – risponde senza esitazioni – era arrivato a 2000 lire. Rimasi qui, dove ore c’è un circolo e credo esista ancora il forno, fino al 1976 – spiega il pizzaiolo – e poi cambiai ancora e mi trasferì qualche decina di metri più su». Premiato nel 2017 dal Comune con una targa per i suoi primi cinquant’anni di attività, Bruno - vera memoria storica del quartiere - ha visto negli anni questa zona della città trasformarsi e i sassaresi piano piano andare via.

«Io non mi sono mai mosso dal centro – spiega davanti all’attuale Hotel Vittorio Emanuele – qui nel 1976 ho aperto il mio terzo locale. Al pian terreno c’era il mio ristorante pizzeria, sopra l’Hotel Sardegna. Vuoi sapere quanto costava la Margherita? Nel 1976 era arrivata a 3000 lire e gli affari andavano alla grande». Il suo locale di piazza Colonna Mariana oggi è uno dei pochi che resistono, in una zona che negli ultimi decenni ha visto troppe serrande abbassarsi. «Sono cambiate tante cose, ma io non voglio arrendermi e continuo ad aprire tutti i giorni dell’anno, tranne il lunedì» puntualizza, mentre una coppia di anziani clienti lo saluta e gli sorride, ora che si lascia il Corso alle spalle e svolta in via Pais, per tornare - attraversando i portici - a controllare i panetti e verificare se manchi qualche ingrediente per la serata.

«È cambiato anche il sapore della Margherita, che oggi da me costa 5 euro» spiega con amarezza davanti al locale di piazza Monsignor Mazzotti aperto a marzo del 1985, quarant’anni fa. «Un tempo girando per il centro – racconta Bruno – si sentivano i profumi del minestrone e dell’arrosto. Erano ortaggi freschi e prodotti genuini – aggiunge – che non esistono più, così come i loro odori che invadevano le strade. Anche la mia pizza è cambiata purtroppo – ammette – ma non l’amore e la cura che ci metto nel farla. Sono cambiate le farine e i condimenti, ma io cerco sempre di prendere i migliori. Vuoi sapere se è cambiata anche Sassari? Tanto – spiega il pizzaiolo tra i più longevi dell’isola – soprattutto in questa zona della città. Andando via da queste strade i sassaresi hanno lasciato le abitazioni e i locali agli stranieri – aggiunge Bruno – e dietro le serrande che non sono chiuse, oggi ci sono solo bazar o minimarket. Tante persone si sono integrate è vero – prosegue – come ho fatto io quando sono arrivato nel 1965 da un’altra regione, ma serve che i sassaresi non si dimentichino del centro, perché l’anima della città è qui e senza l’anima la città muore».

 

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