La Nuova Sardegna

Cinema

Cromatismi che raccontano: la narrazione visiva di Wes Anderson

di Bianca Ena*
Cromatismi che raccontano: la narrazione visiva di Wes Anderson

Il marchio di fabbrica del regista: colori che parlano quanto i personaggi

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Il fatto che Wes Anderson sia e possa davvero essere definito un maestro della narrazione visiva, non va messo in dubbio: grazie al suo stile surreale e inusitato, e quasi soprattutto per l’uso dei colori nei suoi film, che hanno un ruolo di spicco nella narrazione e nella trasmissione di sensazioni diverse da quelle a cui siamo abituati, questo regista dai cromatismi chimerici riesce a lasciare segni indelebili non solo nel cinema, ma anche nell’arte, nella moda e, al passo coi nostri tempi, nei social media. Wes Anderson è un regista, ma anche sceneggiatore e produttore statunitense, che esordisce con il cortometraggio “Un colpo da dilettanti” (Bottle Rocket) nel 1996. Il primo film che porta però a una svolta nella storia di Anderson è I Tenenbaum. È proprio in questo film che lo stile cinematografico caratteristico del regista fa la sua entrata in scena. Si potrebbe dire che il “marchio di fabbrica” nei film di Anderson è la presenza di storie potenzialmente verosimili ma allo stesso modo improbabili, dove i colori parlano quasi quanto i personaggi, nei quali il pubblico è inconsciamente spinto ad immedesimarsi. Inoltre, ogni film ha la propria sfilza di colori: se in “Gran Budapest Hotel” vediamo toni principalmente pastello come rosa e viola, lo stesso non si può dire dei Tenenbaum, i cui colori principali sono rosso, giallo, bronzo e rosa chiaro, del “Castello Cavalcanti”, nel quale i toni gironzolano tra rossi accesi e verdastri, verdi e verdognoli. Le scene emotivamente più forti si tingono di colori vividi e accesi, mentre quelle più tese lasciano spazio alla morbidezza di colori più spenti, in un gioco artistico a dir poco affascinante. Anderson ci dimostra quanto sia vero che i colori possono raccontarci storie, immergendosi in punti di vista mai esplorati. Come in Moonrise Kingdom, film in cui il colore prevalente è un vividamente delicato e caldo giallo che va a dare un effetto retrò e fantasioso al film, e che rispecchia anche l’atteggiamento dei due protagonisti, due bambini dai comportamenti adulti, che si dimostrano comici e, allo stesso tempo, seri. Anderson non è l’unico a giocare coi colori nei propri capolavori. Registi come Krzysztof Kieślowski (Film bianco, Film blu e Film rosso), Gaspar Noè, Alfred Hitchcock, e anche registi italiani come Sydney Sibilia (“Smetto quando voglio”, film in cui la saturazione dei colori è al massimo), ci dimostrano quanto i colori siano parte integrante di un audiovisivo.

*Bianca frequenta il Liceo D.A. Azuni di Sassari

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