Lopez, da Cagliari a Bologna con mirto e malloreddus nel cuore
CAGLIARI. Caschi il mondo, a metà mattino e alle sei di sera, beve il mate. Sul cellulare ha una foto del Poetto: in primo piano un thermos con lo stemma del Penarol. Dentro, la bevanda sudamericana....
CAGLIARI. Caschi il mondo, a metà mattino e alle sei di sera, beve il mate. Sul cellulare ha una foto del Poetto: in primo piano un thermos con lo stemma del Penarol. Dentro, la bevanda sudamericana. A Bologna, terra di lasagne e lambrusco, se ne faranno una ragione. Diego Lopez è fatto così. Faccia da indio, riservato, un amore infinito per i tre figli: nati a Cagliari e in campo con le giovanili rossoblù. Il tecnico, che ha scelto il capoluogo come seconda patria, saluta. Ma non è un addio.
Oltre alla casa e agli amici, il trasloco in Emilia è la chance giusta al momento giusto. In B, per temprare morale e mestiere. In una piazza con storia, tradizione, campioni. Ma ora, alle prese con disaffezione e contrasti. Dunque, un compito impegnativo. L’ideale per Lopez. Spedito sui gradoni del Sant’Elia con Abeijon da Ventura al suo arrivo in città nel ’98, l’allenatore di Montevideo chiude una parentesi e ne apre un’altra.
Classe ’74, 32 gare, 3 reti e una Coppa America conquistata con l’Uruguay nel ’95, el conducador si è conquistato i galloni sul campo e in panca. Con 314 partite e 9 gol è il quinto di sempre nella storia del Cagliari. Dodici anni - capitano dal 2007 al 2010 - al centro della difesa (“Il mio undici ideale? Chimenti, Pisano, io, Astori e Agostini, Abeijon, Conti e O’Neill, Zola, Matri e Muzzi. Più Marchetti, Modesto, Maltagliati, Cossu, Esposito, Acquafresca e Langella”), tre in panca. All’esordio con la Primavera vince 5-0 in casa della Juve. Cellino gli dà la prima squadra. Non ha il tesserino - che prende in questi giorni - trova Pulga primo allenatore. La salvezza arriva con sei turni d’anticipo.
Quest’anno, parte dal via in solitudine. L’ex patron rossoblù chiede, indica, scegli. Lui, tenace e orgoglioso, non molla. Lo caccia, torna Pulga. È ancora salvezza. E siamo al presente. Con Zeman che tentenna, guarda caso per una stretta di mano con il Bologna, Giulini lo chiama. Lopez si mette a disposizione. Il boemo sceglie Cagliari. In Emilia vogliono lui. “Il momento più toccante? Aver incontrato Papa Francesco” ripete spesso.
Diego Lopez è più sardo di certi sardi. Pareva dovesse tornare a casa, River e Penarol lo avrebbero voluto. Tifa Uruguay (“I miei figli hanno le maglie di Forlan e Cavani”) con l’animo dei quattromori. Mate, ma anche mirto, malloreddus e porcetto arrosto. Sa di aver sposato una regione aspra e ricca di contrasti. Rimane il tecnico che ha tenuto la squadra in A nonostante due anni da incubo: senza stadio né tifosi, a Trieste, Quartu, Parma, con il Sant’Elia per cinquemila spettatori. A pensarci bene, più di uno scudetto.
Mario Frongia