la maglia rosa
«Mai minacciato di fermare la corsa»
«Hanno preso una buona decisione, alla fine hanno fatto bene»
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ROMA. Chris Froome, dopo avere chiuso una fatica lunga e tormentata (le cadute di Gerusalemme e Montevergine), è una figura sgraziata e longilinea vestita di rosa, sorride e ammicca come mai. Vestito da 'Monsieur Tour' digrignava i denti, nei panni di 'Signor Giro’ è lo specchio della felicità.
«L'Italia mi ama, io amo l'Italia». Sarà l'aria della Capitale, seconda città eterna toccata dal Giro più spirituale della storia - sarà che ormai si è abituato a convivere con i sospetti di doping, sarà che a 35 anni ha poco da temere, il Giro d'Italia ha offerto il suo volto umano: gladiatore sullo Zoncolan, sul Colle delle Finestre e dei Fori Imperiali, simpatico e brillante perfino con i giornalisti. Al Tour, se gli chiedono del doping, si irrigidisce e gli viene voglia di scappar via, al Giro no. Resta il fatto che, proprio lui, il keniano bianco, mette l'accento sul fatto che «la strada era pericolosa, hanno preso una buona decisione e alla fine hanno fatto bene a fare quello che hanno fatto, neutralizzando la corsa. Non abbiamo mai minacciato di fermarci». La corsa rosa ha tutto un altro sapore e Froome relativizza, filosofeggia e diventa simpatico. Ha gareggiato con la spada di Damocle sulla testa della positività alla Vuelta dell'anno scorso. Rischia da un mese a due anni e magari di perdere tutto. O forse no.
«L'Italia mi ama, io amo l'Italia». Sarà l'aria della Capitale, seconda città eterna toccata dal Giro più spirituale della storia - sarà che ormai si è abituato a convivere con i sospetti di doping, sarà che a 35 anni ha poco da temere, il Giro d'Italia ha offerto il suo volto umano: gladiatore sullo Zoncolan, sul Colle delle Finestre e dei Fori Imperiali, simpatico e brillante perfino con i giornalisti. Al Tour, se gli chiedono del doping, si irrigidisce e gli viene voglia di scappar via, al Giro no. Resta il fatto che, proprio lui, il keniano bianco, mette l'accento sul fatto che «la strada era pericolosa, hanno preso una buona decisione e alla fine hanno fatto bene a fare quello che hanno fatto, neutralizzando la corsa. Non abbiamo mai minacciato di fermarci». La corsa rosa ha tutto un altro sapore e Froome relativizza, filosofeggia e diventa simpatico. Ha gareggiato con la spada di Damocle sulla testa della positività alla Vuelta dell'anno scorso. Rischia da un mese a due anni e magari di perdere tutto. O forse no.