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Stefano Oppo: «L’argento è inestimabile, per me l’oro non sarà mai un’ossessione»

di Andrea Sini
Stefano Oppo: «L’argento è inestimabile, per me l’oro non sarà mai un’ossessione»

Il canottiere di Oristano argento olimpico nel doppio pesi leggeri. Sono orgoglioso di essere tra i pochi atleti sardi ad avere portato a casa due medaglie dai Giochi

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Sarà bello il bronzo, ma l’argento piace di più. La caccia all’oro però non è un’ossessione, né il quarto posto può essere necessariamente considerato un dramma. «Perché ogni gara ha la sua storia, e così anche ogni Olimpiade». Di olimpiadi se ne intende, Stefano Oppo, e anche di medaglie. Trent’anni compiuti pochi giorni fa, il canottiere di Oristano è il primo atleta sardo di ogni tempo, insieme ad Alessia Orro, ad aver preso parte a tre diverse edizioni dei Giochi. Quest’anno ha portato a casa da Parigi l’argento nel doppio pesi leggeri in coppia con Gabriel Soares.

Nel calcio un secondo posto viene visto come un fallimento. Nel canottaggio invece…
«Non scherziamo. L’argento di Parigi ha un valore inestimabile, è un grandissimo risultato».

Quarto posto a Rio nel quattro senza, terzo a Tokyo e secondo a Parigi nel doppio pesi leggeri. Facile dire che manca soltanto l’oro.
«L’unico problema è che il doppio pesi leggeri non sarà più disciplina olimpica, quindi dovrò reinventarmi. In generale dico che in acqua dai tutto e a volte i miracoli accadono, però normalmente i valori si conoscono già prima della gara. E noi sapevamo che c’era almeno una coppia che andava più forte di noi».

Gli irlandesi McCarthy e O’Donovan, la vostra bestia nera.
«Due fenomeni. Ma stavolta ci siamo anche dovuti guardare le spalle da Grecia e Svizzera. Quindi va benissimo così. Ogni risultato va valutato sulla base della gara e del contesto».

Il quarto posto di Rio non le rimase sullo stomaco?
«Se sei alla prima olimpiade e non sai esattamente a cosa vai incontro, un quarto posto può essere un grande successo. Io ero felicissimo, pazienza per la medaglia, è stata comunque un’esperienza molto formativa. Ho continuato a lavorare e sono andata a prendermela poi a Tokyo, realizzando il mio sogno, e poi ancora a Parigi. Ecco, abituati a certi standard, se a Parigi fossimo rimasti fuori dal podio la cosa non l’avrei vissuta altrettanto bene. Quindi dipende dalla maturità del momento».

Di Parigi 2024 quali emozioni si porterà dietro?
«Tante: la cerimonia inaugurale, la vittoria, il podio. Ma anche le gare di scherma che ho visto dal vivo e che ho vissuto con grande intensità: mi sono reso conto di immedesimarmi nei protagonisti e di viverle in maniera diversa dal normale spettatore. Bellissima sensazione».

Un oro e tre argenti mondiali; un oro, un argento e due bronzi a livello europeo, una sfilza di titoli italiani. Con le medaglie ha anche un rapporto fisico?
«Ai miei genitori piace tenerle esposte, io sono un po’ più riservato e di certo non ho bisogno di esibirle per trovare motivazioni e voglia di allenarmi. Però ogni tanto mi piace prenderle in mano, sentire quanto pesano, ricordare. Perché ovviamente dietro ogni medaglia c’è una storia, a prescindere dall’importanza della gara».

Pochissimi sardi hanno vinto due medaglie olimpiche. Solo lei e Alessia Orro avete partecipato a tre edizioni dei Giochi. Questa è storia. Che effetto le fa?
«È un grandissimo motivo d’orgoglio, insieme al fatto che nessun italiano aveva mai vinto due medaglie nei pesi leggeri. Per questo la medaglia d’oro è ancora un obiettivo, ma non un’ossessione».

Lei è alto 1,87 e pesa appena 70 chili. Essere un peso leggero significa vivere costantemente a dieta, come i pugili?
«Sotto gara sicuramente sì, nel resto dell’anno è sufficiente controllare l’alimentazione e allenarsi. Io ho la fortuna di essere un magro “naturale”, quindi non posso certamente dire fare una vita di privazioni. Negli ultimi anni per fortuna siamo stati seguiti dai preparatori del Coni. Il canottaggio italiano è sempre ancorato a metodi un po’ antichi».

Pensa a già a Los Angeles?
«Tra un po’ ci penserò. Come dicevo, mi dovrò reinventare. Salire di peso sino a 78-79 chili mi sembra troppo complicato. Sto invece seguendo con attenzione la nuova disciplina, il beach sprint. Che tra l’altro potrebbe essere un’occasione di rilancio per il canottaggio in Sardegna, che non vive un momento brillantissimo».

La “finestra” di popolarità data dai risultati olimpici si è già chiusa?
«Noi degli sport “minori” sappiamo come funziona. Lavoriamo nell’ombra per quattro anni e poi quando nell’anno olimpico finiamo sotto i riflettori in maniera anche traumatica: non tutti sono pronti a questo impatto. Ci sono sport sui quali l’attenzione mediatica si accende ancora in maniera maggiore e può capitare di finire in mezzo a polemiche più grandi di noi o a strumentalizzazioni che non siamo in grado di gestire».

Dopo Parigi è aumentato il numero di persone che la fermano per strada?
«Sì, in questi giorni a Oristano ci sono tante persone che non conosco che mi fermano per un selfie o per farmi i complimenti. Questo tipo di attenzione sicuramente fa molto piacere, mi rende ancora più orgoglioso di quello che ho fatto. Certo, se provo a immaginare la vita che fanno certi calciatori, dev’essere un po’ pesante. Ma è un tipo di problema che non penso avrò mai...».

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