La Nuova Sardegna

«I nuovi fanatismi: Dio odia le donne»

di Angiola Bellu
«I nuovi fanatismi: Dio odia le donne»

La giornalista Giuliana Sgrena parla del suo nuovo libro

18 settembre 2016
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di Angiola Bellu

Se nelle principali religioni monoteistiche ci sono delle affinità, sicuramente l’oppressione della donna è una delle più evidenti. In . Dio odia le donne (Il Saggiatore), che Giuliana Sgrena ha presentato a Cagliari sabato 17 settembre 2016, la giornalista del Manifesto racconta proprio di come e quanto spesso il potere religioso sia stato e sia al servizio di una cultura che opprime le donne, a qualunque latitudine. Ne abbiamo parlato con l'autrice.

Perché ha sentito l’esigenza di scrivere un libro sulla religione?

« Innanzi tutto perché oggi il fondamentalismo è in aumento in tutte le religioni e ho pensato che fosse utile fare un parallelo tra le fedi monoteistiche. Poi c’è un secondo motivo. Quando si trattano guerre e massacri a carattere religioso si tende a negare tale carattere: dalla strage di Orlando nel locale gay, all’uccisione del prete a Rouen. Ma se non parliamo di religione come possiamo spiegare quello che sta avvenendo oggi, anche in Medioriente? Certo non è solo religione ma questa si è sempre legata al potere. Credo quindi che oggi sia necessario parlare di religione per affrontare tutte le tematiche che ci si pongono di fronte».

Emerge dalle sue riflessioni una sorta di ritorno a un’età preilluministica, con un groviglio di geopolitica e religione che sta esplodendo.

«Un’involuzione anche rispetto alla non discriminazione della donna che si chiedeva in piazza negli anni Settanta; oggi siamo costreti a parlare di oppressione. Quando non vogliamo più difendere i valori laici – quelli tramandatici e mai realizzati fino in fondo della Rivoluzione francese – la religione riprende una supremazia. Questo è il motivo per cui molte persone, anche non di origine musulmana, si rivolgonoall’Islam per cercare un senso di appartenenza, sostenuto da forme rigorose della religione che possono arrivare al fanatismo dell'Isis».

Perché sono in tanti a dire che che la religione in realtà c’entri poco con quanto accade?

«Penso che succeda perché se no, nel caso dell’Islam, si è tacciati di islamofobia. Invece è proprio il contrario: se non vediamo quali sono le categorie religiose usate da questi fanatici non abbiamo gli strumenti per analizzare e quindi neanche i mezzi per fare fronte a quella realtà».

Perché i valori laici non riescono a contrastare oscurantistismo e oppressione?

«L'illuminismo ha affermato valori universali che poi ci siamo tenuti per noi in Occidente. Ricordo le mie amiche algerine dire: “Ma come potete proclamare valori universali che poi ci negate”. Non abbiamo creduto fino in fondo che fossero universali ma abbiamo cercato di far prevalere universalmente solo le leggi dell’economia. In questo momento la crisi di valori coincide con l’affermazione di nuove leggi economiche. La globalizzazione è libera circolazione di capitali e non libera circolazione di persone o di idee. L’emigrazione dei popoli oggi si impone in società in cui non è accettata».

Perché ha fatto la sceltadi descrivere in maniera puntuale la pratica dell'infibulazione attraverso terribili testimonianze?

«Perché non è solo una pratica islamica. Anzi la forma più devastante si chiama faraonica e quindi risale al tempo dei Faraoni; si dice che anche Cleopatra fosse stata infibulata. Non appartiene in realtà a nessuna religione ma viene praticata da quasi tutte: in Etiopia sono gli ebrei a praticarla, i cristiani copti in Egitto. L'effetto delle mutilazioni genitali è tremendo non solo a livello fisico ma anche psicologico. Nell'Ottocento in Italia e in Europa esisteva la castrazione femminile applicata alle donne ritenute troppo ribelli. Ho voluto raccogliere testimonianze di chi l’ha subita per renderci più coscienti. In Italia ci sono 40mila donne mutilate ma nessuno ne parla. Le donne che arrivano qui dai paesi in cui si pratica al 93% la diffondono qui. Ci sono anche antropologhe che la difendono e la trovo una cosa al di fuori di ogni umanità».

La pratica dell’utero “in affitto” dà un senso diverso allo slogan delle femministe degli anni Settanta “l'utero è mio e lo gestisco io”?

«Penso sia una questione molto delicata. Capisco il desiderio di maternità e di avere un figlio proprio anche se non ho avuto figli. Detto questo, non riesco a vedere questa pratica come libertà della donna che usa il proprio utero per fare quello che vuole: mi sembra un’interpretazione un po’ eccessiva, ma non vorrei essere tranchant. Non voglio chiudere il dibattito».

Chiude il libro una frase che lascia quasi senza fiato: «Quando penso al mio futuro vorrei che fosse già passato». Perché?

«Io ho sofferto molto nella mia vita, ho avuto esperienze che mi hanno profondamente segnato. Vivo con intensità la giornata e non penso mai al domani. Non posso più sopportare il dolore. Non ho mai potuto superare la vicenda del mio rapimento in Iraq perché quando stavo per accettare l'idea della mia libertà hanno ucciso Calipari che per la seconda volta mi stava salvando la vita».

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