La Nuova Sardegna

«A Gavoi per raccontarvi l’avventura dei CCCP» 

di Andrea Musio
«A Gavoi per raccontarvi l’avventura dei CCCP» 

Massimo Zamboni apre il Festival “L’Isola delle Storie”

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GAVOI. Una fucina della creatività ed uno spirito punk che non si affievolisce. Massimo Zamboni, l'ex CCCP e Csi, uno dei padri fondatori del punk italiano aprirà, il 29 giugno a partire dalle 22 al Binzadonnia Giardino Comunale, la quattordicesima edizione del “Festival Letterario della Sardegna-L'isola delle Storie” in programma fino al 2 luglio. Una performance a metà strada fra il reading letterario e la musica dal vivo, ingredienti salienti per la messa in scena di “Nessuna Voce Dentro Berlino millenovecentottantuno” l'adattamento scenografico del libro autobiografico dello stesso Zamboni, intitolato “Nessuna voce dentro. Un’estate a Berlino ovest”, (Einaudi 2017, 195 pagine). Insieme alla voce narrante e al canto di Angela Baraldi e al pianoforte di Cristiano Roversi, Massimo Zamboni (al basso), racconterà di quell'estate trascorsa all'ombra di un ingombrante muro, fra le case occupate in cui l'estro e la lungimiranza venivano considerati quotidianità e sopravvivenza. Poco più che ventenne decise di fare l'autostop fino a Berlino e di li a poco una svolta nel suo modo di concepire la vita e la società, tanti incontri ed uno in particolare, quello con Giovanni Lindo Ferretti, con cui ha scritto alcuni importanti capitoli della storia della musica italiana.

Un libro scritto a trentasei anni di distanza, con gli occhi romantici di un adulto e filtrato dai ricordi. «Certamente c'è molto romanticismo – conferma – una parola alla quale siamo abituati associare un riflesso abbastanza negativo, melenso e sdolcinato mentre culturalmente e letterariamente è densa di tante emozioni diverse, non necessariamente tutte limpide ma anche scure e molto forti, taglienti. Per poter scrivere ho dovuto rispolverare dei ricordi messi nei vari cassetti del cervello e andare a ritrovare delle cose che pensavo fossero sepolte ma che in realtà erano solo fuori posto. Il tempo trascorso ha fatto in modo che, tra tutti i ricordi più intensi, solo quelli più importanti, quelli con più risvolti, potessero venire a galla. Attutisce le emozioni forti per cercare di ricostruire quella Berlino che ho vissuto. Gli incontri, le case occupate, la presenza del muro che diventa sempre più incombente, l'incontro con Ferretti che è stato il clou di quel viaggio».

Quella Berlino che le ha cambiato la vita?

«Quando hai vent'anni o giù di lì sei come un animale in cerca di qualcosa assolutamente indefinita. Stai finendo la scuola, si scopre il mondo del lavoro e la sua oppressione. Come tutti ero alla ricerca di questo. Cercare qualcosa e trovare un nodo da sciogliere, quel nodo che mi ha permesso di pensare e decidere il mio futuro. Inconsapevolmente ha cambiato la mia vita in modo radicale. All'epoca non avrei neanche lontanamente pensato di affrontare questa chiacchierata. Trentacinque anni sono per l'uomo una distanza temporale enorme eppure è il riflesso di quel viaggio compiuto con totale incoscienza e leggerezza da osservatore».

Berlino è la terra della creatività a 360 gradi ma la musica è imprescindibile.

«Metà dello spettacolo è costituito da alcune delle canzoni che giravano quell'anno. Lou Reed, Nico, i Doors e una serie di gruppi tedeschi come Einsturzende Neubauten. Abbiamo cercato di ricreare quell'estate per chi non c'era con dei particolari arrangiamenti fatti per pianoforte, basso e la voce di Angela Baraldi. Lei è la cantante perfetta. Quando la senti cantare “Berlin” di Lou Reed... è impressionante... non scimmiotta l'autore originale ma con la tonalità molto scura è capace di raccogliere quelle note, le parole e la canzone diventa sua».

Tornando all'incontro con Ferretti, cosa vi ha portato?

«Noi non pensavamo certamente a quello che avremo potuto fare per la musica italiana. In un certo senso è un mistero anche per noi. Mi rendo conto che a distanza di tanti anni, i CCCP così come i Csi continuano ad essere un piccolo faro per naviganti inesperti. Quel viaggio, alla luce dei fatti, ha portato a qualcosa che è rimasto nella storia. Tutte le storie sono destinate a finire. Le strade si sono separate ad un certo punto. Chi vive con così tanta intensità i rapporti a un certo punto quando avviene la separazione ha un’intensità almeno pari. Quello che manca posso rimpiangerlo o pensarci ma passo buona parte della giornata a fare il contadino e sono abituato a fare i conti con quello che ho e per fortuna non è poco. Musicalmente, con i CCCP eravamo molto chiusi mentalmente, Non ci interessava quello che facevano gli altri, era già un duro lavoro capire quello che facevamo noi. Potrebbe sembrare limitante ma alla fine dei conti si è rivelato vincente. Ci sono grandissime differenze tra CCCP e Csi ma anche tra le persone che li hanno formati. Tutto messo insieme siamo stati capaci di sprigionare qualcosa di non ben identificato che tiene conto di tutte le differenze e allo stesso tempo è stato capace di comporsi in un corpo unico».
 

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