Dal Sulcis alla Cina con lo scanner che svela i segreti delle rocce
di Stefano Ambu
Le spedizioni della “geoscientist” dell’università di Cagliari. Strumenti all’avanguardia per capire come evitare crolli nelle miniere
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È l'aula forse più grande del mondo, una grotta lunga 1,2 chilometri, larga quattrocento metri e alta altri quattrocento metri. La prof è sarda, si chiama Daniela Pani. Gli studenti invece sono cinesi. Perché le lezioni si svolgono proprio in Cina. La materia è unica: scansione delle rocce. Ed è unica al mondo anche la docente. Non solo perché è brava, ma perché altre non ce ne sono proprio. Non si usano penna e quaderno, ma gli scanner laser. E per raggiungere la postazione ottimale, magari in pozzi da duecento o trecento metri, bisogna farlo in arrampicata e con le corde.
Portandosi per forza di cose dietro tutta l'attrezzatura ultra tecnologica. Pani lo ha già fatto nel 2015 e ora sta ripreparando le valigie perché a gennaio sarà di nuovo lì. È la sua missione. Che cosa cercano in Estremo Oriente nella viscere della terra? «Loro cercano le vie dell'acqua – racconta Pani – le zone carsiche sono serbatoi. È l'acqua che berremo. Questo vale anche in Sardegna. Per la Cina questo è importante: ci permettono di fare esplorazione geografica a patto di avere informazioni sulle grotte». Gli studenti sono quelli dei dottorati e dei master degli istituti di ricerca cinesi: i più giovani sanno parlare l'inglese, altrimenti c'è l'interprete.
Ma come: si insegna la tecnologia a chi sguazza nella tecnologia? «Vero, loro hanno la tecnologia – spiega Pani – ma in questo settore manca la conoscenza». E allora devono chiamare l'insegnante sarda, una delle poche al mondo che sa fare i rilievi. È l'unica che insegna queste tecniche. Studio, ma anche stupore per le meraviglie del creato. E infatti Pani collabora e partecipa a spedizioni con National Geographic. Meraviglie e interrogativi: «Chambers (saloni - ndr) enormi, non si capisce come possano reggere magari sotto tremila metri di roccia. Eppure sono i posti più sicuri al mondo, anche in caso di terremoto».
In Sardegna fa cose più normali. È geoscientist, scienziata della terra. E lavora anche per la direzione generale della Protezione civile dove si elaborano i bollettini per stabilire i quotidiani valori di criticità sul territorio sardo sulla base degli eventi meteorologici o rischi incendio. Questo è il lavoro istituzionale. Poi entra in gioco la figura della scienziata. E in particolare della speleologa scientifica. È la sua passione, lo fa da trent'anni. Esplora e misura. «Si pensa che il mondo sulla superficie terrestre sia totalmente conosciuto. In parte è vero, in parte no. Ci sono ancora i fondi degli oceani e vuoti sotterranei totalmente inesplorati». Per vuoti sotterranei naturali si intendono appunto le grotte. Perché ci sono anche i vuoti artificiali. E questo è un argomento che la Sardegna conosce bene, le miniere. Studiare le rocce in Cina può essere importante anche per capire meglio cosa può succedere anche qui da noi. «Lavorando a scansionare questi vuoti sotterranei naturali – spiega la scienziata-speleologa – si impara tanto sulla meccanica della roccia: si capisce sino a che punto si può osare ad esempio nell'arte mineraria».
Sì perché i nostri vuoti, moltissimi sono stati dismessi, meritano attenzione. «Ci sono 350 chilometri di questi vuoti nell'Iglesiente: sono epidermici e continuamente influiscono sulla stabilità della superficie. È importante conoscere e dimensionare il rischio, questo è argomento di protezione civile. Ogni giorni ci sono i sinkhole, crolli continui». La “guarigione”, chissà, potrebbe arrivare proprio dalla Cina.
Portandosi per forza di cose dietro tutta l'attrezzatura ultra tecnologica. Pani lo ha già fatto nel 2015 e ora sta ripreparando le valigie perché a gennaio sarà di nuovo lì. È la sua missione. Che cosa cercano in Estremo Oriente nella viscere della terra? «Loro cercano le vie dell'acqua – racconta Pani – le zone carsiche sono serbatoi. È l'acqua che berremo. Questo vale anche in Sardegna. Per la Cina questo è importante: ci permettono di fare esplorazione geografica a patto di avere informazioni sulle grotte». Gli studenti sono quelli dei dottorati e dei master degli istituti di ricerca cinesi: i più giovani sanno parlare l'inglese, altrimenti c'è l'interprete.
Ma come: si insegna la tecnologia a chi sguazza nella tecnologia? «Vero, loro hanno la tecnologia – spiega Pani – ma in questo settore manca la conoscenza». E allora devono chiamare l'insegnante sarda, una delle poche al mondo che sa fare i rilievi. È l'unica che insegna queste tecniche. Studio, ma anche stupore per le meraviglie del creato. E infatti Pani collabora e partecipa a spedizioni con National Geographic. Meraviglie e interrogativi: «Chambers (saloni - ndr) enormi, non si capisce come possano reggere magari sotto tremila metri di roccia. Eppure sono i posti più sicuri al mondo, anche in caso di terremoto».
In Sardegna fa cose più normali. È geoscientist, scienziata della terra. E lavora anche per la direzione generale della Protezione civile dove si elaborano i bollettini per stabilire i quotidiani valori di criticità sul territorio sardo sulla base degli eventi meteorologici o rischi incendio. Questo è il lavoro istituzionale. Poi entra in gioco la figura della scienziata. E in particolare della speleologa scientifica. È la sua passione, lo fa da trent'anni. Esplora e misura. «Si pensa che il mondo sulla superficie terrestre sia totalmente conosciuto. In parte è vero, in parte no. Ci sono ancora i fondi degli oceani e vuoti sotterranei totalmente inesplorati». Per vuoti sotterranei naturali si intendono appunto le grotte. Perché ci sono anche i vuoti artificiali. E questo è un argomento che la Sardegna conosce bene, le miniere. Studiare le rocce in Cina può essere importante anche per capire meglio cosa può succedere anche qui da noi. «Lavorando a scansionare questi vuoti sotterranei naturali – spiega la scienziata-speleologa – si impara tanto sulla meccanica della roccia: si capisce sino a che punto si può osare ad esempio nell'arte mineraria».
Sì perché i nostri vuoti, moltissimi sono stati dismessi, meritano attenzione. «Ci sono 350 chilometri di questi vuoti nell'Iglesiente: sono epidermici e continuamente influiscono sulla stabilità della superficie. È importante conoscere e dimensionare il rischio, questo è argomento di protezione civile. Ogni giorni ci sono i sinkhole, crolli continui». La “guarigione”, chissà, potrebbe arrivare proprio dalla Cina.