La Nuova Sardegna

Con “Lo Stato fascista” Guido Melis vince il Premio Viareggio

di Giacomo Mameli
Con “Lo Stato fascista” Guido Melis vince il Premio Viareggio

Al politologo sassarese il riconoscimento per la saggistica «Lo dedico a Manlio Brigaglia, è stato lui il mio editor»

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Con Guido Melis – professore universitarioa La Sapienza e Siena, politologo, già-deputato, autore di “un libro speciale” secondo Manlio Brigaglia, di un ”libro magistrale” secondo Sabino Cassese – la Sardegna continua a popolare il palmarés nazionale dei premi letterari. Il “Viareggio” avant'ieri assegnato all'autore di “La macchina imperfetta, Immagine e realtà dello stato fascista ” (Il Mulino, 615 pagine, euro 38) torna così a Sassari, città dove Melis è nato 68 anni fa. Nel 1989 la città toscana aveva riservato il podio a Salvatore Mannuzzu con “Procedura”, romanzo per il quale Massimo Onofri aveva scritto: «Là dove Sciascia s'interessa alla Giustizia, Mannuzzu s’appassiona ai giudici in carne ed ossa, all’umana misura di chi giudica». Poi era stata la volta di Alberto Capitta, finalista prima allo Strega (nel 2005) poi al Dessì lo scorso anno. Mai due senza tre.

«Sono fiero di rientrare in questa filiera», commenta Melis rispondendo al telefono da un treno che lo porta a Firenze. E dice di primo acchito: «È un premio che dedico per intero a Manlio Brigaglia, che ha letto il libro quattro volte: la prima volta al computer e poi, per tre volte, ha corretto le bozze com'era solito correggerle lui, cioè come una macchina perfetta».

Un bel riconoscimento, il Viareggio, soprattutto di questi tempi. «Confesso di esserne orgoglioso. È il frutto di un’analisi penetrante che del volume ha fatto la giuria come è emerso durante la lettura della motivazione affidata a Luciano Canfora». Tra le altre cose Canfora hascritto: «Nell’affresco tracciato da Melis, ricco di particolari, emerge una visione complessa di quel che volle e non riuscì a essere lo Stato, “fascista” ma al tempo stesso “Stato nel fascismo”». «Lo Stato – dice Melis – è il tallone d'Achille del nostro Paese. Lo è sempre stato, anche nei periodi di crescita, come per esempio gli anni del miracolo economico. C’era sempre una zeppa, un ostacolo di nome burocrazia. Canfora ha parlato al plurale, di burocrazie, gerarchie politiche centrali e periferiche, magistrature ordinaria e amministrativa, podestà, sindacalisti e capi delle corporazioni, autorità scolastiche, sovrintendenti alle belle arti, uomini dell'impresa pubblica e del parastato. Tanti corpi che spesso si annullavano, facevano la somma zero».

E lo Stato italiano dell'estate 2018?

«A confronto con la velocità di altri sistemi politici e governativi e dell’economia globale, radiografiamo uno Stato di cui drammaticamente leggiamo i limiti».

E per perfezionare, o almeno per migliorare, questa macchina in panne?

«Io auspico una grande riforma dello Stato in tutte le sue articolazioni a cominciare dalla burocrazia. Canfora e la giuria hanno detto che abbiamo uno Stato ben lontano dall’essere la macchina perfetta che vorrebbe sembrare. Assistiamo alla marcia del gambero, in tanti settori, penso fra tutti all’istruzione. E, come ho già detto, prima della deriva è necessaria la svolta, con una burocrazia da formare dal Monte Bianco fino a Punta LaMarmora. Ovviamente vorrei che le competenze della burocrazia le avessero anche la classe politica e la classe dirigente in generale».

Oggi, oltre ai populismi, sembra dettar legge il ritorno ai nazionalismi, l'Europa pare un optional.

«Negli anni scorsi l’Europa ha rappresentato, pur con tutti i suoi limiti di timidezza e di incoerenza, una straordinaria prospettiva per il nostro futuro. Chiediamolo ai nostri eccellenti giovani che sono andati in Erasmus. Chiediamolo a chi ha conosciuto i lager. Mai l’Europa aveva conosciuto decenni senza guerre. In un mondo di colossi – in un mondo dove contano la Cina, gli Stati Uniti, l'India, la Russia – un piccolo Paese come l’Italia non conta proprio nulla. Piccolo non è bello. Il che non vuol dire che l’Europa non debba cambiare registro. Ma c’è bisogno di un’Europa più forte e coesa non di un’Europa in frantumi».

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