La Nuova Sardegna

L’ombra di “Mette pioggia”: l’apocalisse parte da Sassari

L’ombra di “Mette pioggia”: l’apocalisse parte da Sassari

Da venerdì 20 novembre in edicola con La Nuova il volume di Gianni Tetti. L’ultima settimana dell’umanità in una città trasfigurata che corre verso la fine

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Per la collana Scrittori di Sardegna 2020, da venerdì 20 novembre sarà in edicola con La Nuova, a 7,50 euro oltre il prezzo del giornale, il romanzo di Gianni Tetti “Mette pioggia”. Un vento opprimente spazza, nelle pagine del libro di Tetti, una Sassari trasfigurata. La tv, la radio e i giornali dicono che nessuno ricorda un caldo così. Non piove da mesi, come se Dio stesse aspettando il momento giusto. Un uomo si butta da un ponte, un altro apre il suo bar, un misterioso volontario consegna volantini aggirandosi tra le case di un’intera comunità troppo distratta per comprendere quello che sta accadendo. L’unico è Zanon, che ha scoperto il male, e il male è dentro di noi, non fuori. “Mette pioggia” è un vortice avvolgente, inarrestabile, apocalittico. Con uno stile ipnotico e conturbante quanto lo scirocco che soffia incessante tra le pagine, Gianni Tetti racconta l’ultima settimana che resta all’umanità.

«Ogni volta che c’è qualcosa, alieni, meteoriti, glaciazioni, cavallette giganti, ogni volta parte tutto da New York o da Washington e il presidente americano prende l’Air Force One. E fa un lungo discorso alla nazione. Ogni santa volta». Ma se i segni di un’oscura e imminente catastrofe si rivelassero a Sassari, innanzi a un’inerte e inane umanità? Se i luoghi in cui si palesano, inascoltati, i presagi di un’incombente fine del mondo fossero Piazza Tola, Corso Margherita di Savoia o Li Punti? Il libro è una tesa e inquieta scansione dell’ultima settimana che separa la Terra da una terribile apocalisse.

A prestare la voce alla narrazione – proprio mentre prende forma un complesso scenario in cui tutto appare legato da un perverso gioco di coincidenze e convergenze – sono gli occhi di uomini e donne, calati in una Sassari che sembra essere uscita da una pagina dell’Antico Testamento, ma che a differenza di Sodoma o Gomorra ha smarrito ogni capacità di arbitrio e di scelta, anche quando si volge alla più turpe dissoluzione.

L’umanità che Tetti racconta è infatti la stessa che ha popolato il suo primo libro: un’umanità brutalmente passiva, incapace di qualsiasi presa di coscienza, ipnotizzata dai suoni cacofonici di una modernità ormai divenuta fossile e perciò inamovibile (si pensi alla tv accesa sullo sfondo di molte delle vicende raccontate); insensibile, ormai, anche al dolore altrui, quando spinta verso un cieco moto di sadismo nei confronti di ogni forma di vita (il grado di violenza che prevale nei confronti degli animali in molte pagine del libro, apre numerose riflessioni sull’incapacità dell’uomo ad accettare fino in fondo il brutale nichilismo che ha scrupolosamente – ma contraddittoriamente – perseguito, proprio quando si misura con il muto sguardo di un’esistenza puramente biologica, dolorosamente preclusa all’uomo, quale è quella animale). Eppure, mentre i giorni corrono verso la fine e nessuno sembra prestare attenzione all’ormai soverchiante ombra della catastrofe, un uomo solo, Arturo Zanon, analista di laboratorio – che ha anche la responsabilità di condurre il fil rouge della narrazione attraverso le polifonie dissonanti delle voci degli altri personaggi – intuisce che l’incombente diluvio non ha solo il colore nero delle nubi, ma anche il rosso vivido del nostro sangue. Perché, forse, è già dentro di noi.

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