I grandi del Rinascimento e le solide radici nell’isola
Giovanni Ciusa Romagna, la formazione fiorentina e il ritorno in Barbagia
Da venerdì 5 febbraio sarà disponibile il secondo volume della collana "Maestri dell'arte sarda", in edicola con la Nuova Sardegna a 7,50 euro oltre il prezzo del quotidiano. Il volume, curato da Maria Luisa Frongia , è dedicato a Giovanni Ciusa Romagna (1907-1958). Nato lo stesso anno in cui Francesco Ciusa, suo zio paterno, fu premiato alla Biennale di Venezia per "La madre dell'ucciso", è stato da presto un autodidatta pieno di talento, nutrito poi da studi e interessi, spiccati quelliverso la pittura toscana dei grandi artisti del Quattrocento e Cinquecento, che hanno definito in lui solidi principi disegnativi e sobrietà di colore.
Pubblichiamo le pagine iniziali del volume su Giovanni Ciusa Romagna che, curato da Maria Luisa Frongia, sarà in edicola con La Nuova da venerdì 5 febbraio come seconda uscita della collana Maestri dell’arte sarda.
* * *Nel 1925 tornava a Nuoro, sua città natale, Giovanni Ciusa Romagna. La morte del padre interrompeva dopo tre anni il soggiorno di studi a Firenze dove i genitori, Salvatore e Maria Veronica Romagna, lo avevano mandato, appena quindicenne, a frequentare l’Accademia di Belle Arti, consapevoli della sua predisposizione per il disegno e il colore, più che per il latino, la “bestia nera” degli studi classici ai quali era stato dapprima avviato. Il varcare il mare per frequentare scuole e accademie del “Continente” era stata un’esperienza comune ad alcuni artisti sardi più anziani di lui: lo avevano già fatto, fra gli altri, Filippo Figari, Carmelo Floris, Melkiorre Melis, Stanis Dessy, ma, prima di tutti, dal 1899 al 1902, lo scultore Francesco Ciusa, fratello del padre, il quale aveva dato grande lustro alla famiglia e all’arte isolana con La madre dell’ucciso, opera che aveva trionfato alla Biennale di Venezia del 1907, suscitando un’eco notevole in campo nazionale. Il 20 febbraio di quello stesso anno nasceva Giovanni.
Il periodo successivo preparava, intanto, il sanguinoso conflitto della prima guerra mondiale, iniziata quando il futuro artista aveva appena otto anni: seppure ancora bambino, aveva vissuto con intensità il periodo dal 1915 al 1918, specie quando a Nuoro tornavano le salme dei concittadini e dei barbaricini in genere, morti in una guerra che li aveva visti valorosi combattenti. A conclusione delle ostilità, appena undicenne, affrontava con coraggio il giudizio del pubblico, esponendo alcune opere, i cui spunti erano probabilmente quelli catturati «per le strade della città vecchia e le campagne circostanti», quando, assieme al coetaneo Bernardino Palazzi, «ragazzetti, l’uno e l’altro, col cavalletto in spalla e la scatola dei colori a tracolla andavano, contenti e spilungoni, “in cerca di soggetti”», come ricorderà, molti anni più tardi il fratello Mario.
I dipinti suscitarono giudizi positivi anche sulla stampa locale, che ammirava il precoce talento dei giovani artisti, e nei concittadini che erano affezionati ai loro pintoreddos, stimati anche da un artista maturo e affermato quale era Antonio Ballero. Nella mostra spiccava fra tutti il primo grande quadro di Giovanni Ciusa Romagna, dipinto per celebrare la vittoria: cinque figure femminili avvolte in una grande bandiera, opera accanto alla quale egli si fece fotografare, tenendo in mano tavolozza e pennello, quasi a sancire la sua vocazione artistica. La strada era aperta, dunque, ma era necessario dare i giusti maestri a un autodidatta pieno di talento. Giunse, così, quella «mattina nebbiosa di ottobre» del 1922 con la quale Firenze accolse Giovanni, conquistandolo con la sua «sublime bellezza», come ricorderà più tardi, e incantandolo «morbosamente».
Nella celebre Accademia fiorentina ebbe la fortuna di incontrare quale maestro il torinese Felice Carena, nominato, nel 1924, professore “per chiara fama”. Egli apprezzò le doti del giovane e lo spinse ad approfondire lo studio dal vero, ma anche a rivolgere i suoi interessi verso la pittura toscana dei grandi artisti del Quattrocento e del Cinquecento, un’assidua esperienza che costituì il costante bagaglio sul quale si impiantò la sua arte, fornendogli quelli che lo stesso Ciusa Romagna definirà «solidi principi disegnativi e sobrietà di colore». La sua rigorosa formazione, innestata su una personalità versatile e poliedrica, disposta a misurarsi sempre con nuove esperienze, lo porteranno a irrobustire le sue innate capacità, fino a raggiungere la fisionomia di una figura di spicco nella cultura isolana, pronta ad affrontare un discorso globale nel campo dell’arte. Il contributo innovatore dedicato da Ciusa Romagna alla sua Nuoro, il costante impegno nel pubblico e nel privato, le sue doti progettuali investite anche nel campo architettonico e urbanistico, contribuiranno a segnare di un’impronta indelebile il capoluogo barbaricino.
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Al rientro a Nuoro, le prime opere mostrano un duplice interesse: quello di sperimentare le tecniche pittoriche apprese a Firenze e quello di riappropriarsi degli usi e costumi della sua terra. In un realismo stemperato da tocchi di materia cromatica, costruisce nel “Battesimo” una figura di bambino attraverso pennellate corpose, dense e sovrapposte, tecnica memore della lezione ottocentesca dei macchiaioli che continuava a permeare la cultura toscana del Novecento. Mostra, invece, nell’olio “Bambino” del 1925, di aver maturato l’insegnamento tecnico e iconografico di Armando Spadini, maestro toscano che, col suo linguaggio di matrice impressionista, metteva spesso in rilievo l’intimità del mondo familiare. Al tempo stesso, con un tratto mosso, ottenuto con la rapidità e la vibrazione del segno, che non rinuncia alla formula della “macchia” di colore ammorbidito dalla liquidità dell’acquerello, abbozza, con felice estro creativo, due coppie di figure in costume di Oliena, colte di spalle, come spesso usava fare Giuseppe Biasi, riuscendo persino a far brillare i lucidi gambali delle figure maschili e a sintetizzare con pochi segni le frange dei fazzoletti femminili. Iniziava, intanto, la stagione dei dipinti di grande impegno che aprivano la strada alla fama e all’amicizia di artisti già affermati, quali Biasi e Floris. Del 1926 è “Il vecchio intagliatore”, uno dei dipinti più noti di Ciusa Romagna, un omaggio al mestiere del nonno paterno.
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