La Nuova Sardegna

Intervista con Salvatore Garau: «L’assenza ci circonda e io ne ho fatto arte»

di Paolo Curreli
Intervista con Salvatore Garau: «L’assenza ci circonda e io ne ho fatto arte»

Dopo la vendita della scultura immateriale per 15 mila euro, un’opera invisibile a New York

31 maggio 2021
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Per quanto nullo il loro peso specifico le ultime opere di Salvatore Garau stanno creando un interesse mondiale sempre crescente (basta fare un giro sul web per accertarsene). La nuova scultura immateriale “Afrodite piange” dell’artista sardo adesso si staglia (o dobbiamo immaginare che lo faccia) di fronte alla Federal Hall di New York. «Un’opera che esiste soltanto perché lo ha deciso l’artista, fatta di sola aria, che prende forma grazie all’immaginazione di chi osserva, non un agglomerato di pixel, non un’immagine, ma la sua negazione» spiega la presentazione dell’opera sponsorizzata dall’Istituto italiano di cultura di New York che l’ha “esposta” nel sito stanzeitaliane.it.

«Tutto è nato nella piazza Manno di Oristano, l’istituto d’arte realizzò una scultura in ceramica fortemente orizzontale visibile solo dall’alto – racconta Garau –. Questo mi ha illuminato sulla “visione” dell’arte e ho trovato la risposta a domande che mi ponevo da diverso tempo. Così è nata “Uomo che pensa” nella stessa piazza e in seguito “Buddha in contemplazione”, la prima installazione immateriale a Milano, in Piazza della Scala, a 25 metri dalla sede espositiva di Gallerie d’Italia, dove è esposta anche una mia grande tela. Questa di New York è la terza di sette opere “immateriali” che porterò in diverse città di tutto il mondo».

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La sua opera ha spesso sollevato polemiche, ricordo quelle legate alla sua Anguilla di Santa Giusta, anche l’opera immateriale ha sollevato dubbi e discussioni?
«Le critiche sono sempre bene accette ovviamente e senza tutto muore, ma la cosa che mi ha colpito di più è l’accanimento scoppiato quando “Io sono”, altra opera immateriale, delle poche che realizzerò per i privati, è stata battuta all’asta per 14,820 euro. Alcuni artisti sardi non si sono sottratti alla facile ironia. Il sorriso sia chiaro è ben venuto ma in questo caso si tratta di sola ironia malevola».

Ci spieghi, esattamente cosa ha venduto?
«Il certificato che attesta l’esistenza dell’opera invisibile è stato acquistato un anno fa da un privato per 3 mila euro. Il quale ha deciso di metterlo all’asta, la casa Art-Rite ha deciso di affrontare l’esperimento con successo visto che il prezzo è più che quadruplicato».

Ma cosa spinge un collezionista a un’operazione simile?
«Il collezionista, che vuol rimanere anonimo, immagino avrà letto e condiviso i contenuti del mio progetto che vanno ben oltre la moda sostenuta da tutti negli ultimi tempi di altre opere immateriali come gli Nft».

Ci spieghi meglio?
«È la sigla che sta per Non Fungible Token, sono opere digitali che si vendono in rete, sono in genere dei semplici jpg, come le foto dei nostri cellulari. La differenza sostanziale è che la mia opera è unica, irripetibile, irriproducibile e non inquina perché gli Nft consumano enormi quantità di energia per essere creati, come tutta l’attività online».

C’è chi l’accusata anche di plagio, in riferimento ai precedenti di Manzoni e il suo “Fiato d’artista” e il “Cubo invisibile” di De Dominicis. Tutte opere degli anni ’60, e la denuncia di furto ai carabinieri dell’opera d’arte invisibile fatta da Cattelan del 1991?
«Intanto tutti si sono abbeverati alla “Fontana” il celebre orinatoio di Duchamp. Quindi si tratta dello stesso uso degli stessi materiali per dire cose diverse. Se dipingessi un quadro a olio, come ho fatto tante volte, avrei forse copiato i fiamminghi o gli impressionisti? È un falso problema. De Dominicis inventa un cubo invisibile, suggerisce già una forma precisa, il mio lavoro vuole stimolare la creatività di chi osserva, inoltre nel mio caso non c’è l’opera materiale e nemmeno la presenza dell’artista. Come in piazza della Scala e a New York. Mi è sembrato che gli artisti si siano scatenati nella corsa a trovare il precedente piuttosto che a esaminare il pensiero».

Quanto il periodo ha influito su questo lavoro?
«Ho usato la materia che domina il pianeta in questo momento storico: l’assenza. Quindi l’opera si è riempita di nuovi significati diventando quasi un contenitore di riflessione. Ancora di più lo spettatore diventa protagonista dietro il solo suggerimento di un mio titolo».

Viviamo in un mondo così immateriale?
«Abbiamo a che fare col niente ogni giorno. Entri in banca e compri dell’oro e ti danno un certificato di carta, torni dopo 5 mesi e chiedi il corrispettivo in oro e ti ridono in faccia, ti prendono la carta per venderlo a un altro, l’oro non lo vedrai mai. Non è il nulla non tangibile che hai comprato? Non c’è nessuna differenza col mio certificato a parte la poesia che sta dietro l’opera d’arte».

Lei è noto un tutto il mondo per la sua opera pittorica, è passato all’arte concettuale con questi ultimi lavori?
«Io sono un artista libero e posso usare tutti gli strumenti che il mondo mi offre come il cinema, la musica, la letteratura. In questo momento questa è la tecnica perfetta. Ho attinto agli strumenti che mi dava il concettuale senza pormi nessun problema. Resto comunque un pittore, intorno a questo ruota tutta la mia creatività. Non ho esposto nel luogo comodo della galleria, dove tutto è possibile, ma in uno spazio pubblico senza protezione. Si, ho venduto un niente ma colmo del tutto come dimostra la vitalità che la mia opera ha generato. Non sono stato originale? Il mondo è pieno di niente spacciato per qualcosa e nessuno ci fa caso».

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