La Nuova Sardegna

L’INTERVISTA 

Murru: «I miei diavoli storti»

Murru: «I miei diavoli storti»

“Diavoli Storti” un piccolo grande miracolo per il cantautorato italiano. Ci sono voluti diversi anni ed un’intera squadra di amici ed appassionati per convincere Marcello Murru a tornare nel mercato...

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“Diavoli Storti” un piccolo grande miracolo per il cantautorato italiano. Ci sono voluti diversi anni ed un’intera squadra di amici ed appassionati per convincere Marcello Murru a tornare nel mercato discografico e sotto i riflettori. Dopo oltre dieci anni di silenzio, il cantautore di Arbatax, trapiantato a Roma poco più che adolescente, qualche mese fa ha pubblicato l’album “Diavoli Storti” (Rea/Concerto Music) e recentemente annunciato alcune delle sue rare apparizioni dal vivo, date promozionali che toccano la Sardegna per tre tappe.

Murru si è esibito ad Alghero giovedì, stasera alle 20 sarà nell’area archeologica di Nora per “La Notte dei Poeti” ed ancora domani alle 11 nelle grotte del Bue Marino all’interno del programma del Cala Gonone Jazz Festival. «Da molto tempo sono restio a mostrarmi in pubblico – spiega l’autore del celebre e fortunato brano “Testaccio” – e in tutta la mia carriera non ho mai fatto tre date di fila in Sardegna. Se non erro, l’ultima volta, ci suonai nel ’98 nella mia città natale. Qualcuno mi ha definito snob ma in realtà la mia è solo timidezza».

Dal successo dei Mondorhama sembra difficile immaginarla una persona timida.

«Credo proprio che in quegli anni sia scattato qualcosa. Erano gli Ottanta e più precisamente dopo la nostra partecipazione a festival di San Remo. Il gruppo era acclamato dalla critica in Italia e in Europa con un album in inglese proprio per arrivare ad un pubblico internazionale. Nonostante fossi già abituato al palcoscenico, artisticamente sono nato nel teatro sperimentale e d’avanguardia con un grande impatto fisico e visivo eppure, da quell’esperienza, uscii frastornato. Allora anziché cercare di apparire, cercavo di nascondermi».

Tornare a suonare in Sardegna è un atto quasi dovuto?

«Non la vedo in questo modo. È vero che ho vissuto più anni a Roma che in Sardegna ma è come se non me ne fossi mai andato. Continuo a dire di essere sardo di Arbatax, non romano. Ho sempre visto il quartiere di Testaccio che mi ha accolto sin dal primo anno dell’università, come un’isola. Chiudere l’ultimo album con “liberos”, recitato in sardo, non è un omaggio alla mia terra, perché e semplicemente la mia pelle e il mio sangue. In queste tre date avrò la possibilità di esibirmi in altrettanti luoghi stupendi a cui sono particolarmente legato. Amo profondamente Alghero. Alle grotte del Bue Marino ci sono stato solo una volta, da bambino. Facevo le scuole elementari e mia madre mi promise, se promosso, che avrebbe chiesto ai miei zii pescatori di portarmi a vederle. A quell’età era più di un mito, incredibili e meravigliose. Il pensiero di tornare mi emoziona parecchio e lo considero un premio. Lo scorso anno me ne ha parlato un’amica, Lula Pena che suonerà il giorno dopo, e me le ha descritte come un posto unico al mondo. Anche a Nora ci sono stato una sola volta, durante una gita al liceo. Ancora non era la Nora di oggi. Successivamente hanno fatto molte più scoperte e sono veramente curioso di vederla dopo tanti ann».

Sarà accompagnato sul palco da Alessandro Gwis al pianoforte e Riccardo Manzi alla chitarra. Come saranno strutturati i concerti dei prossimi giorni?

«Ancora stiamo decidendo. La durata sarà di circa novanta minuti con due vecchi amici. È stato bello ritrovarli e suonare con loro, musicalmente sono quelli che mi conoscono meglio. Nella scaletta ci saranno naturalmente i brani di “Diavoli Storti” e altri della mia discografia. Inizierò con un pezzo che ho suonato dal vivo una sola volta, preso dall’esordio da solista del ’90. Questi sono i piani ma amo divagare dal vivo. I dischi sono una cosa ma il concerto ha altre priorità. Cerco di variare e talvolta mi verrebbe anche di variare i testi delle canzoni. Le parole vengono scritte in un momento preciso ma a un’artista possono essere concesse delle variazioni anche a seconda del responso del pubblico. È un processo più legato alla poesia che alla forma canzone in senso stretto».

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