La Nuova Sardegna

L’intervista

Stefano Fresi: «Ora tv, teatro e una vigna a Luogosanto»

di Alessandro Pirina
Stefano Fresi: «Ora tv, teatro e una vigna a Luogosanto»

L’attore ritorna dal 12 su Sky con “I delitti del BarLume”: «Una squadra unica con un cast fantastico. Ma che fatica sul set resistere a Guzzanti»

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Nel cinema italiano dell’ultimo decennio è una presenza costante, il suo nome è legato ad alcune delle commedie più riuscite della generazione 2000. Ma Stefano Fresi, 49enne, romano con origini fortemente radicate a Luogosanto, ha lasciato il segno anche in fiction di successo, da “Il nome della rosa” a “Vivere non è un gioco da ragazzi”, e soprattutto “I delitti del BarLume”, l’amatissima serie Sky Original giunta all’11esima stagione che torna dal 12 gennaio per tre venerdì su Sky Cinema e in streaming su Now.

Stefano, musicista nella prima fase della vita, attore nella seconda: oggi cosa prevale?

«Sente dove sto? (suona il pianoforte, ndr). Ovvio che oggi prevale quella di attore. Ma io continuo a essere musicista per i cavoli miei con mio figlio, scrivo quello che mi va di scrivere. E anche se all’esterno sono percepito come attore faccio anche spettacoli musicali. Proprio ora sono in tournée con “Cetra una volta”: siamo io, Toni Fornari e mia sorella Emanuela, ovvero i Favete Lingus, ed è un omaggio al Quartetto Cetra. Insomma, la musica non la mollerò mai».

Da piccolo cosa voleva fare?

«Mi vedevo pianista, ho iniziato a sei anni. Vedere ora mio figlio che studia piano mi emoziona. Anche ora siamo seduti allo stesso piano da cui ho iniziato. Certo, poi ho scoperto il teatro e ho pensato: porca miseria, mi piace anche questo».

Da musicista ad attore: a chi deve questo passaggio?

«Augusto Fornari mi chiese di comporre le musiche per “Le donne al Parlamento di Aristofane”. Cominciai a frequentare il teatro e ad assaporare il palco, le prove, gli attori, i direttori di scena, le sarte, i rituali. Insomma, mi sono innamorato del teatro e con il mio terzetto, i Favete Lingus, abbiamo deciso di portare in scena le cose che facevamo nei locali. Abbiamo unito le due cose e quest’anno facciamo 30 anni di spettacoli».

Se pensa alla sua gavetta cosa le viene in mente?

«Penso al senso di investimento vero che ho fatto. Fatica, sacrifici, non spendere i soldi, metterli da parte e farli fruttare in qualche altro modo. La gavetta significa non mettersi problemi a faticare per imparare a fare un mestiere, avere rispetto del mondo in cui ti muovi: è una scuola».

“Smetto quando voglio” le diede la grande popolarità, il successo, i premi: come visse quel cambiamento?

«È arrivato in un momento in cui ero pronto a fare il salto. Avevo fatto altre fiction, altri film - su tutti “Romanzo criminale” -. “Smetto quando voglio” è stato proprio quel treno che non è detto che passi. Ma se passa e hai la fortuna di salirci sopra devi anche saperci rimanere. Ed è lì, a quel punto, che la gavetta serve. Avevo intuito che sarebbe stato un film bellissimo, ma non avevo idea di quello che sarebbe successo dopo, né la popolarità né la candidatura ai David».

Era l’epoca di “Una notte da leoni”. Le piaceva essere definito lo Zach Galfianakis italiano?

«Da morire, quel personaggio mi aveva divertito tantissimo. Anche se io detesto i paragoni, perché spesso ci si ferma alla superficie. Io e Galfianakis siamo diversi, come lo sono da Giuseppe Battiston. Siamo tre fisicità distinte, ma basta essere grossi e avere la barba per dire: è lui».

Con Battiston avete anche girato un film insieme.

«Spero che ormai sia abbastanza chiaro che non siamo la stessa persona. Se mi chiedono l’autografo per “Perfetti sconosciuti” sorrido e va bene così».

Sta per tornare in tv con i Delitti del BarLume, 11esima stagione, lei nel cast dalla quinta. Qual è la forza di questa serie?

«La sua forza è una serie di forze che agiscono contemporaneamente. Innanzitutto, la capacità di Roan Johnson di avere creato questa squadra. Secondo, la scrittura sia di Marco Malvaldi che degli sceneggiatori. L’idea di costruire un giallo - è un crime a tutti gli effetti - e circondarlo da un mondo di commedia è una chiave fortemente vincente. Poi il cast: siamo tutti amici, abbiamo una stima incredibile l’uno dell’altro e la scrittura fa sì che non ci pestiamo i piedi».

Sul set con Timi e Guzzanti si riesce a restare seri?

«Io posso fare sorridere Timi e lui me, la vera mina vagante che tutti temiamo è Corrado, sempre straordinariamente imprevedibile».

In questa stagione c’è Orietta Berti come special guest.

«Ho scoperto una professionista pazzesca. Avrà cantato 400 volte senza mai lamentarsi».

Come sta oggi il cinema?

«Sta benissimo, il successo di Paola (Cortellesi, ndr) ne è la dimostrazione. Il bello del suo film, al di là del giudizio tecnico, è che ha fatto ritornare la voglia di andare in sala. Questo film darà linfa al cinema».

Paola Cortellesi è la donna del momento.

«Paola ha uno straordinario talento, pari solo alla sua umiltà. Non ha manie di protagonismo, lei è una protagonista. Beato chi ci lavora e io ho avuto quella fortuna più volte».

Tra attori della generazione dei 50enni siete tutti così amici come appare anche dai social?

«Sì, non c’è rivalità. Se un collega fa un bel film glielo dico, non solo geloso. Questa grande trasparenza ci ha permesso, con l’associazione Unita, di ottenere un risultato straordinario: il contratto degli attori è un passo avanti incredibile. La pandemia ci ha dato una spinta forte, perché ci ha fatto capire quanto fosse debole la nostra categoria».

Se parliamo di Sardegna?

«La Sardegna è la mia infanzia, le estati di felicità a casa di mio nonno a Luogosanto. Tanto che io e mio cugino Pierluigi abbiamo rilevato le quote degli altri e abbiamo avviato una azienda agricola, Izzana. Abbiamo piantato la vigna e presto produrremo il nostro vino. Volevamo che quello che è stato il nostro giardino di infanzia diventasse il giardino dei nostri figli».

Il suo “lato” sardo?

«Dico quello che dice mia moglie: sono testardo».

Cosa c’è nel suo 2024?

«“Kostas”, una serie tratta dai libri di Petros Markaris, con protagonista il capo della polizia di Atene. Per me è la prima volta da protagonistadi una serie Rai».

Il sogno da realizzare?

«Il mio sogno era più piccolo di quello che ho già realizzato. Non prevedeva l’enormità di diventare padre. Se devo mettere in fila le cose della vita - la casa, il cinema, il successo, l’affetto del pubblico - niente è paragonabile all’essere padre di Lorenzo». 

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