La Nuova Sardegna

L'intervista

Lory Del Santo: «Usai lo scoop su Kashoggi per la celebrità. La mia serie web? Mi criticano per gelosia»

di Alessandro Pirina
Lory Del Santo: «Usai lo scoop su Kashoggi per la celebrità. La mia serie web? Mi criticano per gelosia»

«Facevo tv con Arbore ma le foto con l’arabo furono la mia svolta. Nella vita i grandi dolori o si accettano o ti distruggono: io ho scelto di accettarli»

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La sua foto sullo yacht di uno degli uomini più ricchi del pianeta fece il giro del mondo. Oggi, nell’era dei social, la cosa probabilmente passerebbe in sordina. Ma i primissimi anni Ottanta erano appunto un’altra epoca e infatti, più di quarant’anni dopo, tutti ancora ricordano la vacanza a 5 stelle di Lory Del Santo con il miliardario saudita Adnan Kashoggi. Di questa vicenda e di tante altre, tra la provincia veronese in cui è nata e il mondo dorato del jet set che ha frequentato per anni, l’attrice, oggi 65enne, parla con lucidità e profondità nel libro “La felicità come optional”, Giraldi editore.

Lei ha cercato la felicità o ha aspettato arrivasse?
«L’ho cercata, non ho mai pensato potesse arrivare. Se non esprimi desideri e voglie che cerchi di raggiungere con molta energia e volontà non accadranno mai le cose che desideri. Scegliere passivamente non mi è mai sembrata la soluzione ideale. A mia madre chiesi: cosa ti ha spinto a sposarti? E lei: avevo due pretendenti, uno più benestante e uno meno. Alla fine ha scelto quello che però è morto in un incidente stradale. Non poteva saperlo, ma le scelte sono sempre relative».

La sua fu una infanzia difficile. Che bambina era?
«Improvvisamente era tutto incerto, un problema, un “succederà, forse”. Il problema è che mia madre non parlava mai, faceva come se fossi un oggetto da sistemare. Tra noi non c’è mai stata una conversazione, lei faceva e basta, sempre sperando per il meglio. Lei vedeva nel risparmio l’unica possibilità per andare avanti. Io non la rimprovero per le ristrettezze, l’ho solo rimproverata quando ha incontrato qualcuno disposto a essere generoso e lei ha detto no».

Quali erano i suoi sogni?
«Io non sognavo. Non si può sognare quando non sai cosa c’è. Stavo tranquilla, immobile, cercavo di fare meno danno possibile, di non sbagliare per non incorrere in recriminazioni. Verso i 14 anni si è insinuata in me la possibilità di sognare. Sognavo qualcosa di diverso dalla realtà, qualsiasi cosa».

Il primo impatto con lo spettacolo fu il Festivalbar 1975.
«Non mi ero iscritta al concorso, mi videro, mi fecero fare il passeggio e mi scelsero come valletta. Tutto iniziò lì. Ma non restai ferma e riuscii ad avere il pass per il backstage. Nella vita servono anche gli stratagemmi, se no rimani dove ti mettono».

Da Verona a Roma: il suo obiettivo era lo spettacolo o il successo?
«Volevo lavorare nel mondo dello spettacolo, ma ero molto timorosa. Nessuno mi aveva detto: lanciati. Qualcosa mi spingeva a crederci. A Roma non ero andata per cercare l’uomo ricco e sposarmi, volevo diventare popolare facendo qualcosa, creandomi un mondo, un’illusione. A me bastava esserci».

Primo successo, “Tagli, ritagli e frattaglie”. Come arrivò alla corte di Renzo Arbore?
«Lo vidi in ristorante. “Salve”, dissi. Luciano De Crescenzo mi seguì in bagno e mi chiese il numero. Fu un colpo di fortuna».

Quando capì di avercela fatta?
«Quando ho capito che non bisognava solo fare, ma occorreva aggiungerci lo scoop. Da Renzo Arbore dicevo solo due parole, ma il riscontro delle apparizioni fu incredibile. Eppure non fu sufficiente. Ho capito che serviva farmi pubblicità e ho deciso di usare la cosa col famoso arabo. Avevo avuto l’occasione di essere invitata a un party e l’ho fatto diventare uno scoop. Questo, unito ad Arbore, fu una bomba».

È stata una antesignana degli influencer.
«Un po’ sì. Ho capito che dovevo essere io a propormi, a crearmi l’immagine. Ma l’epoca era molto più difficile, non bastava mettere una foto sui social».

Le foto con Kashoggi fecero il giro del mondo, ma perse la sua fiducia. Si è mai pentita di averle fatte diffondere?
«Sapevo che c’era il rischio dell’ombrello. Tu esci dall’ombrello e piove. Ma se la pioggia ti disseta è perfetto».

Capitolo Drive in.
«C’era voglia di ridere, di essere leggeri, di guardare in positivo, di essere ironici».

Berlusconi si faceva vedere?
«Mai, neanche una volta».

Un giorno in ascensore lasciò il suo numero a Trump.
«Ebbi questa occasione. Lui è un tipo alla Berlusconi, dalla battuta pronta. Di quegli uomini che ti dicono tre cose e ti impressionano. Non come quelli con cui devi scavare...».

Nel libro racconta di incontri da favola in posti da favola: la Sardegna ha mai fatto da sfondo a questi eventi?
«La Sardegna è il primo viaggio che mi ha fatta uscire da Verona senza colonia o suore. Avevo 15 anni, mia madre aveva una relazione con uno che aveva la macchina e prendemmo la nave. Non avevamo cuccetta, fu una notte da incubo. Sbarcammo a Olbia, arrivammo in un posto isolato. La mattina mi alzai, presi una stradina e arrivai in spiaggia. Mi sedetti e piansi: questa è la libertà, pensai».

A lei la vita ha riservato i peggiori dolori per una madre. Come è riuscita ad andare avanti?
«Il dolore è una cosa che accetti o ti distrugge. È come una malattia, come un cancro irreversibile, non puoi sperare di curarlo. L’unica alternativa è accettarlo, mettere un punto e andare avanti. Io ho fatto questa scelta, ovviamente quando sono riuscita a smettere di piangere».

Negli ultimi anni ha scritto e diretto “The lady”, serie web seguitissima e criticatissima.
«Le critiche arrivano per gelosia perché ho avuto 10 milioni di visualizzazioni. Mi hanno accusata di essere trash, ma io ho rappresentato le persone trash che esistono nella vita. Io sono brava a identificarle. È questa interpretazione che è sfuggita».

Hanno suscitato scalpore le sue critiche a Woody Allen.
«L’ho sempre adorato, ho trovato i suoi film positivi, ma quest’ultimo mi ha deluso in tutti i sensi. Lo ho trovato errato nelle scelte. È arrivato a fine carriera».

Come vive gli anni che passano?
«Sono arrivata a un punto in cui ho detto: ho finito, non c’è più niente, aspettiamo di morire. Ma poi ho pensato: tutti invecchiano, tutti arrivano a questo punto della vita. Allora mi sono detta: forse vale la pena di vivere anche in età adulta in maniera sgambettante, positiva. Ma oggi mi manca l’euforia della creazione, mi servirebbe un colpo di fortuna: un nuovo progetto da edificare».

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