La Nuova Sardegna

L’intervista

Carlo De Ruggieri: «Quando la famiglia diventa luogo di sopraffazione e violenza»

di Alessandro Pirina
Cristina Pellegrino, Massimo De Lorenzo e Carlo De Ruggeri
Cristina Pellegrino, Massimo De Lorenzo e Carlo De Ruggeri

L’attore in tournée in Sardegna con “456” di Mattia Torre: «Boris era un set di gioia continua. Che fortuna iniziare con i Taviani»

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L’Italia non è una comunità, bensì un collage di individui che sono perennemente gli uni contro gli altri. È questo il quadro che viene fuori da “456”, il magnifico testo di Mattia Torre, uno degli autori più intelligenti e prolifici del panorama culturale italiano, scomparso cinque anni fa. In scena Carlo De Ruggieri, Massimo De Lorenzo e Cristina Pellegrino con Giordano Agrusta. I tre appuntamenti, sotto le insegne del Cedac, saranno oggi a Olbia, domani ad Alghero e venerdì a San Gavino.

De Ruggieri, “456” è la storia di una famiglia.

«La famiglia di 456 è composta da un padre, una madre e un figlio che vivono in una valle isolata dal resto del mondo. È una famiglia dominata dalla paura che si chiude dentro questo micromondo e questo scatena tra loro un odio profondo. Per ciascuno di loro gli altri membri costituiscono un ostacolo. I loro obiettivi sono proporzionati alla misera prospettiva che disegnano per la loro esistenza. Il nucleo fondamentale di una società che è la famiglia dovrebbe essere luogo di condivisione e affetti ma si dimostra essere luogo di sopraffazione e violenza».

È la società individualista?

«Abbiamo portato in scena questo spettacolo per la prima volta nel 2011. Riprendendolo oggi ci siamo resi conto che nel testo improvvisamente risuonano aspetti che magari nel 2011 risuonavano meno. Un tempo si potevano leggere riflessioni sull’individualismo, oggi magari risuonano altre tematiche come la discriminazione o la violenza in famiglia. È un testo che, in qualche modo, anche se Mattia non lo aveva programmato di volta in volta rispecchia vari aspetti della società».

Per lei che conosceva bene Mattia Torre e continua a interpretare i suoi testi qual era la sua marcia in più?

«Mattia aveva sicuramente uno sguardo curioso, naturalmente deformato da una grande visione umoristica che non diventava mai distaccata e cinica. E poi aveva una formazione universitaria sociologica che ha influito sul suo modo di raccontare. E una grande visione estetica: i suoi testi hanno ritmo, musicalità. Lui univa tutti gli aspetti di questo mestiere: dalla scrittura alla messa in scena».

Il suo grande successo è stato “Boris” con il personaggio di Lorenzo. Come era quel set?

«Era un clima di gioia continua. Io, Mattia, Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo, Massimo De Lorenzo e altri attori e attrici che hanno fatto Boris avevamo iniziato a condividere questo mestiere anni prima. Ritrovarsi su quel set dopo avere fatto un pezzo di strada importante è stato bello e gratificante per tutti gli sforzi fatti in precedenza».

Sui set veri ha incontrato più Lorenzo o più Biascica?

«Se c’è uno c’è anche l’altro».

I suoi esordi al cinema con i fratelli Taviani: come è stato partire con i due maestri?

«È stato uno di quei regali del destino che posso solo ringraziare che sia successo. Avere la possibilità di iniziare con Paolo e Antonio Taviani vuole dire, appena metti piede sul set, ritrovarsi in una realtà diversa e toccare subito con mano quello che significa stare dentro una creazione cinematografica».

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