Monica Nappo: «La mia estate tra Andaras e il set di Noah Baumbach»
L’attrice, in giuria al festival dei corti di viaggio tra Fluminimaggiore, Buggerru e Iglesias, ha appena finito di girare il film con Adam Sandler e George Clooney
Nella sua carriera ci sono due certezze. La prima sono le grandi produzioni hollywoodiane in Italia. Sì, perché, Monica Nappo, napoletana trapiantata a Roma, anni di teatro al fianco di Mario Martone prima e di Toni Servillo poi, è una delle attrici italiane più richieste quando gli americani scelgono il nostro Paese come set dei loro film. L’altra certezza è legata alla Sardegna ed è Andaras, il festival del cinema di viaggio, dove lei siede in giuria fin dalla prima edizione. E anche quest’anno sarà della squadra che conta al suo interno anche Carolina Crescentini, Motta, Selene Caramazza, Rancore, Ilaria Porceddu ed Enrica Pintore. Una settimana di cortometraggi lungo la costa delle Miniere, tra Fluminimaggiore, Iglesias e Buggerru.
Monica, ormai non può più fare a meno di Andaras?
«Mi sento quasi la mascotte. Questo festival è una cosa bellissima. Ammiro la caparbietà di questi ragazzi di andare avanti e di portare la cultura nei loro luoghi. Ogni volta è una sfida. Il loro è uno zoccolo duro: c’è Joe (Joe Juanne Piras, il direttore artistico, ndr) con il suo staff tutto al femminile. Vanno avanti con tenacia e questo mi scalda il cuore. Cercano di valorizzare i posti, scegliendo luoghi unici, bellissimi, ma non sempre facilmente raggiungibili. Portare le proiezioni in questi luoghi è un qualcosa di unico».
L’anno scorso in giuria c’era Valentina Lodovini, quest’anno Carolina Crescentini...
«Con Carolina ci conosciamo bene, abbiamo un bellissimo rapporto avendo anche lavorato assieme in “I bastardi di Pizzofalcone”. Abbiamo già fatto le nostre riunioni, visto i corti, votato. È bellissimo potersi confrontare ogni anno con altri artisti su un campo in cui ci ritroviamo a navigare ogni giorno».
Il suo viaggio nel cinema quando è iniziato?
«Il mio viaggio è iniziato con Matteo Garrone, che mi ha vista alle prove aperte in cui improvvisavo per quattro ore “Pene d’amor perdute”. Lui aveva già fatto due film che avevano avuto anche una bella attenzione a Venezia. Mi si avvicinò e mi disse: “sono Matteo Garrone, vorrei facessi un film con me”. Si chiamava “Estate romana”, i protagonisti eravamo solo Rossella Or, Salvatore Sansone e io, era improntato prevalentemente sulla improvvisazione e parlava della crisi di un artista durante il Giubileo a Roma».
In questo viaggio ha avuto compagni giganteschi: Sorrentino, Soldini, Ozpetek, ma anche Woody Allen e Ridley Scott.
«E ora si è aggiunto Noah Baumbach, ho appena finito il finito suo con Adam Sandler e George Clooney...».
Ogni volta che un regista di Hollywood gira in Italia lei figura nel cast.
«Questa è una cosa che mi piace. Tra l’altro quest’ultimo set è stata una esperienza bellissima. Come compagno di lavoro avevo Giovanni Esposito, un artista straordinario, un collega eccellente. E poi io adoro Baumbach, molto affine a Woody Allen come ironia. Mi piace perché cambia stile. Se penso a “Storia di un matrimonio” o a “Barbie”. Per me lui è un genio ed è stato bellissimo vederlo all’opera».
Com’è lavorare sui set hollywoodiani: la differenza con l’Italia è solo una questione di budget?
«No, lavorano più ore consecutive, quando l’assistente dice silenzio è silenzio e quando sei lì è perché ti hanno scelta. E questa è la soddisfazione più grande. Loro fanno showbusiness, noi facciamo “friendbusiness”. Se vogliamo cambiare come funziona da noi dobbiamo dirlo».
Dopo tanti uomini gli ultimi film diretti da due donne, Carolina Cavalli e Cristina Comencini.
«E ora Ludovica Rampoldi, grandissima sceneggiatrice alla sua opera prima. Una commedia d’amore scritta benissimo - inutile dirlo - con Valeria Golino. Anche qui ho trovato un’atmosfera diversa. Mi piace lavorare con le donne. Anche altre sono state belle esperienze, ma in questi lavori ho visto uno sguardo diverso. Come attrice sono contenta di avere iniziato a vivere questo tipo di collaborazioni. È come se vedessi un panorama da una prospettiva diversa».