La Nuova Sardegna

L’intervista

Luca Barbarossa: «Senza musica niente emozioni e sogni»

di Alessandro Pirina

	Luca Barbarossa
Luca Barbarossa

Il cantautore romano al Premio Giuseppe Dessì presenta il libro “Cento storie per cento canzoni”

12 settembre 2024
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Ogni canzone ha una storia a sé, anche quelle più banali possono avere un’origine sorprendente. Luca Barbarossa ne ha scelte cento e le ha fatte diventare un libro, appunto “Cento storie per cento canzoni” (La nave di Teseo). Oggi, 12 settembre, il cantautore romano, in dialogo con l’autore e regista teatrale Giacomo Casti, lo presenterà a Villacidro, alle 21.30 nel cortile di Casa Dessì. Un incontro tra musica e parole che dà il via al ricco programma del Premio Giuseppe Dessì.

Barbarossa, cosa sarebbe la vita senza la musica?

«Solo bollette da pagare (ride, ndr). Non ci sarebbe il sogno, quella parte emozionale che rende più interessante la vita. Un mondo senza musica non è ipotizzabile. Pensiamo anche a una scena di un film senza la colonna sonora».

Il suo primo ricordo musicale è Sanremo ‘67…

«Da bambino la musica è anche immagine. E io ricordo Annarita Spinaci con questa sessione di fiati che commentava tutte le immagini della sua canzone. Avevo 6 anni, dopo avrei ascoltato Bob Dylan e i Beatles, ma a quella età rimasi colpito da trombe e tromboni che accompagnavano la Spinaci. Era divertente. Anche se ignoravo tutto del festival, l’ho studiato dopo...».

Era il Sanremo della morte di Luigi Tenco

 «Oltre la drammatica morte di Tenco fu un festival davvero memorabile, artisti altrettanto memorabili che non arrivarono nemmeno in finale: Sonny Bono e Cher, Dionne Warwick, Gene Pitney, Marianne Faithfull. Fu l’edizione di capolavori come “Bisogna saper perdere”, “L’immensità”, “Cuore matto”. Vinse “Non pensare a me”, che di certo non è la canzone più bella di Claudio Villa e Iva Zanicchi. È impressionante quanto sia ricca la storia di Sanremo. Noi spesso ne vediamo i difetti, ma quando vai ad analizzarlo viene fuori uno spaccato di costume, della vita di quegli anni».

Le canzoni sono spesso la colonna sonora di un momento della vita, di una situazione…

«Credo che non ci sia una cosa che più di una canzone ti faccia viaggiare nello spazio, nel tempo, nelle emozioni. Appena senti una vecchia canzone ti ricordi dove eri, l’amore del momento, il motorino che guidavi, la vacanza. Tutta una serie di cose che ti vengono in mente dopo pochissime note. Basta l’introduzione...».

Cento storie per cento canzoni. Selezione difficile?

«Dal punto di vista affettivo sì. È un po’ come quando fai la scaletta dei concerti e sei costretto a lasciare fuori qualche brano. Ma siccome la logica era quella di scegliere canzoni con una storia interessante da raccontare è stato più semplice. Diciamo che ho meno rimpianti. Ho scelto canzoni particolarmente significative che hanno spesso retroscena sorprendenti. Tutti conosciamo “Yesterday” o “Emozioni” ma nessuno sa quello che è successo intorno a esse. O “Over the rainbow”, che nessuno voleva fare cantare a Judy Garland perché troppo giovane. Quella canzone fu l’inizio dei problemi dell’artista, che cominciò a fare uso di anfetamine e questo la porterà a imbottirsi di barbiturici e morire a 47 anni».

È stato anche un lavoro di ricostruzione. In qualche caso con l’aiuto da casa, vedi Mogol e Caterina Caselli.

«Laddove ci sono degli autori amici ho potuto di sfruttare l’amicizia che mi lega a loro. Caterina, Mogol, anche De Gregori. Mi sono fatto dire direttamente da loro come sono andate le cose, le curiosità. È stato bellissimo farmi raccontare da Mogol qual era il suo stato d’animo quando ha scritto un pezzo esistenziale come “Emozioni”».

La storia di “Tanti auguri”?

«Una canzone che due maestrine hanno inventato per accogliere gli alunni in classe. Poi a qualcuno è venuta in mente l’idea geniale di aggiungere le parole “Happy birthday” . È un po’ come la storia delle barzellette che tutti conoscono ma nessuno sa chi le ha inventate. Non sai come hanno fatto a viaggiare sulle loro gambe di epoca in epoca, di paese in paese».

In questo lavoro quanto ha influito la attività da conduttore, che porta l’ascoltatore alla scoperta di ospiti e storie?

«In realtà, è stato un processo inverso. Ho iniziato a fare radio ancora prima del Social club curando una rubrica all’interno di un programma. Il pallino di fare ricerca sulla storia della canzone l’ho sempre avuto. Poi mi sono inventato il Social club, perché in base a questa passione avevo il desiderio di fare musica dal vivo in radio. In un periodo in cui l’ambiente viveva una forte crisi volevo riuscire a trovare un veicolo alternativo alla discografia per fare arrivare la grande musica al pubblico. Molti artisti mi hanno dato retta, penso a De Gregori, Dalla, Fiorella Mannoia, ma anche Aznavour e James Taylor».

Quest’anno la squadra è cambiata...

«Una squadra micidiale: Ema Stockholma, Carlo Amleto e Giulia Vecchio, più una vecchia conoscenza come Saverio Raimondo».

Il libro è diventato anche un tour teatrale di cui a Villacidro farà sentire una anteprima?

«A Villacidro racconterò alcune storie che farò anche in teatro, ma sarò da solo con la mia chitarra e mi dedicherò soprattutto al mio repertorio».

Ma se dovesse raccontare la storia di una delle sue canzoni quale sceglierebbe?

«Ce ne sono tante. Prendiamo “Via Margutta”. Io sono nato proprio lì vicino, in un vicoletto accanto ma da bambino non capivo cosa ci trovasse di bello la gente in quella strada. Un giorno mio nonno mi prese per mano e mi fece entrare dentro un portone e iniziammo ad arrampicarci tra scale, scalette, ringhiere. Li scoprii quelle mansarde una sull’altra da cui c’è una vista pazzesca su Roma. E poi c’è la storia di mio nonno che dietro una intercapedine di uno studio di pittura aveva nascosto un bambino ebreo tra le tele di quadri, riuscendo a salvargli la vita. Quella storia è diventata la mia “Via Margutta”».

Ed è arrivato il successo...

«In realtà ero al mio secondo Sanremo a distanza di anni dal primo. La casa discografica non ci credeva molto e mi fece fare solo il singolo. Arrivai terzultimo e andammo via demoralizzati. Poi piano piano la canzone ha iniziato a viaggiare per conto suo e si sono convinti a fare l’album: “Come dentro un film”. E da lì tutto è cominciato».

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