Daniele Pecci: ««La parabola di Oscar Wilde: odiato perché colto e geniale»
L’attore in tournée in Sardegna con il suo spettacolo: «Il cinema? Aspetto ancora la mia grande occasione»
Daniele Pecci mette in scena Oscar Wilde. Nel vero senso della parola. L’attore romano è il grande scrittore, poeta e drammaturgo irlandese in “Divagazioni e Delizie” di John Gay, uno spettacolo da lui anche diretto che sbarca in Sardegna sotto le insegne del Cedac: domani a Ozieri, venerdì a Lanusei, sabato a Meana, domenica a Macomer, lunedì a Sanluri. Una pièce ispirata alla vita e alle opere di Wilde, che si racconta in un gioco di citazioni e rimandi dai suoi romanzi e racconti, poesie e aforismi, nel corso di un’ipotetica conferenza in cui, ormai esule e povero dopo i processi e la condanna, dà spettacolo di sé.
Pecci, protagonista è il grande autore, qui sulla via del tramonto. Si evince dal testo questa doppia faccia dello stesso Wilde?
«Fin dai primi momenti, per quanto ci sia anche dell’ironia, si capisce che abbiamo a che fare con un uomo devastato. Quella doppia faccia è presente da subito. Anche le cose comiche, quelle che fanno ridere il pubblico, sono circondate da un’aura di distruzione, rimpianto, dolore. Lo spettacolo è incentrato proprio su questa doppia presenza. Il Wilde che era e il Wilde è diventato a causa di altri».
Che idea si è fatto del personaggio Oscar Wilde?
«Questi sono i suoi scritti - John Gay è stato bravissimo ad assemblarli senza aggiungere neanche una parola - e da essi si tratteggia chiaramente che personaggio doveva essere. Spesso parla in prima persona e racconta come era, come lo hanno fatto diventare. È uno di quei casi in cui l’autore non ha dovuto inventare, supporre. È quello che oggi al cinema chiamiamo biopic, da cui viene fuori un uomo illuminato che attraverso il piacere di conoscere, di sapere si è costruito una cultura sterminata. Questa cultura lo ha portato a un livello di ragionamento superiore rispetto alla gente comune. Quando uno si eleva così tanto viene guardato con odio, subendo una grande vendetta da parte di tutti. Oscar Wilde era un uomo fuori dal suo tempo: anche oggi attirerebbe su di sé l’odio di tanti benpensanti».
Lo scritto preferito di Wilde?
«Adoro le commedie, adoro “Salomè”. “Il ritratto di Dorian Gray” è un pezzo cardine di quella cultura di fine secolo. Ma quello che mi ha sempre colpito più di tutti è il “De Profundis”: alcune parti sono nello spettacolo».
È la prima volta che cura anche la traduzione?
«Quando i testi sono in inglese li traduco sempre, sono laureato in quella materia. Mi sono reso conto che è impossibile accettare supinamente una traduzione di un altro».
Perché secondo lei, in un’epoca digitale, il teatro resiste?
«Per quanto sia passato più di un secolo dalla sua nascita il cinema resta una grande tecnica che rischia di essere soppiantata da tecniche affini che le stanno attorno. Lo vediamo oggi con le piattaforme. Il teatro è arte primaria, non può essere soppiantato. A teatro si va a vedere gli attori dal vivo, la voce dal vivo, anche se oggigiorno il microfono sta distruggendo le basi. Ma tutto sommato il teatro subisce meno l’influenza della tecnica».
La Sardegna è una tappa obbligata delle sue tournée.
«È la regione che più di tutte ho frequentato da quando ero piccolo. È sempre stata una meta estiva. E anche da quando faccio teatro sono venuto quasi sempre. In Sardegna c’è un pubblico colto, rispettoso, che sa stare a teatro, che sa capirlo. Non vedo l’ora di arrivare».
In Italia ha fatto tante serie di successo, da Orgoglio a Cuori. Da poco è stato nel cast della serie britannica, Hotel Portofino. Ci sono differenze sul set?
«Ho partecipato a varie serie internazionali e il modo di lavorare è grosso modo lo stesso. Cambia molto se è per la tv generalista o per una piattaforma».
Qualche anno fa disse: al cinema devo ancora iniziare. Quel film è arrivato?
«Il cinema mi piace tantissimo da spettatore. Ho anche avuto esperienze belle, ma per me fare cinema è un’altra cosa. Quando mi capita una proposta sono molto restio. Primo perché ho sempre tanto lavoro a teatro o per la tv. E poi perché aspetto sempre l’occasione, il ruolo da sposare. Dunque, di quel film sono ancora in attesa».