La Nuova Sardegna

L’intervista

Barbara De Rossi: «Dopo i 50 anni zero ruoli per le donne al cinema: non ci danno la possibilità di lavorare»

di Alessandro Pirina
Barbara De Rossi: «Dopo i 50 anni zero ruoli per le donne al cinema: non ci danno la possibilità di lavorare»

L’attrice romana madrina del festival Tulipani di seta nera dedicato a Eleonora Giorgi: «Ha avuto un grande coraggio a parlare della malattia»

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Regina incontrastata delle fiction anni ’80 e 90, una carriera che spazia tra cinema, tv e teatro, tra le attrici più belle di una generazione di bellissime, Barbara De Rossi non si capacita che arrivate a una certa età, e neanche così avanzata, i ruoli per le donne quasi scompaiano. Un problema sollevato da tante attrici che come lei hanno visto ridursi i loro spazi sullo schermo. In prima linea in questa battaglia c’era anche Eleonora Giorgi, a cui ieri a Roma è stata dedicata l’apertura del festival Tulipani di seta nera, di cui la De Rossi è la madrina.

Cosa sognava da bambina?

«Volevo fare la veterinaria, non avevo il pallino del cinema. Tutto è iniziato per caso: a 16 anni vinsi un concorso, miss Teen ager, che si teneva in un albergo di un amico di mio padre».

Fu lì che la scoprì Alberto Lattuada.

«Ho iniziato giovanissima con lui. “Così come sei”, con Mastroianni, poi “La cicala”, dove ero la figlia di Virna Lisi».

È vero che fu Marcello Mastroianni a convincere i suoi?

«Mio padre non aveva alcuna intenzione di farmi fare questo lavoro. Era molto scettico. Devo tutto a mia madre e a Marcello che, su insistenza di Alberto, chiamò a casa mia e disse a mio padre: guardi che siamo persone serie e perbene».

Lei è cresciuta a Rimini: ha mai conosciuto Fellini?

«Ho mentito al grande maestro. Una volta lo incontrai a Roma agli studi De Laurentiis. “Porta in alto i colori della Romagna”, mi disse. Era convinto fossi nata a Rimini. Non ebbi il coraggio di dirgli che sono una romana che ha fatto tanti traslochi per via del lavoro di mio padre».

Il primo grande successo con “Storie d’amore e d’amicizia”: lei e Claudio Amendola eravate alle prime armi.

«Accompagnai il mio fidanzatino di allora a fare un provino: io venni presa subito, lui dovette tornare altre volte. Ai tempi avevo già fatto cinema, invece per Claudio è stato l’inizio della carriera. Andammo al festival di Venezia e fummo osannati».

Francesco Nuti.

«Io credo che Francesco sia stato il comico più attore di tutti. Aveva capacità attoriali diverse dai comici tradizionali. Non solo le idee ma anche il modo di raccontare le storie».

Klaus Kinski.

«Un personaggio particolare, perdeva la testa. Una volta mi morse forte, un’altra mi agguantò il seno in una scena non prevista. Non ho un buon ricordo».

Con la Piovra diventa una star. Anche all’estero.

«Mi conoscevano in Russia. Damiano Damiani ha inventato un nuovo linguaggio, per la prima volta in tv si parlava di connivenze tra Stato e mafia. Lui dovette rinunciare alla seconda stagione perché fu minacciato».

Da “Io e il duce” a “Quo vadis”: arrivano le grandi coproduzioni con l’America.

«Ho girato tante fiction in presa diretta da protagonista con Anthony Hopkins, Bob Hoskins, Susan Sarandon, Annie Girardot, Klaus Maria Brandauer, Brad Davis. Nella mia vita non ho vinto la statuetta ma ho lavorato con tanti premi Oscar».

Crede che il grande successo televisivo abbia un po’ ostacolato la sua carriera al cinema?

«Ai tempi fare tv era una scelta che non era ben vista dal cinema. Gli stessi registi e attori che facevano solo cinema ci guardavano con un po’ di razzismo. Ora si sono messi tutti a fare tv perché non esiste altro mezzo che dà quella popolarità».

Tra le tante serie quale porta più di tutti nel cuore?

«“Torniamo a casa” con Roberto Citran. Era una fiction che aveva il coraggio di evidenziare anche gli aspetti negativi di una adozione. Fu uno scandalo, ai tempi in Rai c’era una censura micidiale...».

Ne è mai stata vittima?

«Nella Piovra c’era una scena in cui io e Michele (Placido, ndr) dovevamo essere nudi, ma si vedeva solo un secondo. Alla fine a lui misero i boxer e io indossai la sua camicia. Ai tempi c’era un certo pudore che, rispetto agli eccessi di oggi, forse però non era così sbagliato».

Lei è una donna brillante, ma per fare ridere ha dovuto aspettare i Vanzina.

«L’ho scoperto tardi perché “come piange la De Rossi non c’è nessuna”. Fino ai 35 anni ero l’attrice più drammatica d’Italia. Ci sono voluti i Vanzina che con “Il ciclone in famiglia” mi hanno fatto vivere una palestra formidabile con Boldi, Mattioli, Buccirosso, Catania».

Giraste anche in Sardegna.

«Io ho un legame forte con l’isola. Ho sposato un uomo con mamma sarda. Vengo da quando ancora non c’era quel turismo esagerato di oggi: ricordo Liscia Ruja, Long beach. Ho visto nascere lo Yacht club Costa Smeralda. E anche quest’anno ad agosto saremo in Sardegna».

Un rimpianto nella carriera?

«A parte un paio di cose che salterei a piè pari, il dispiacere grande è avvenuto dopo i 50 anni. Dopo avere imparato tanto, avere affinato capacità espressive, non è stato possibile mostrare questa esperienza notevole perché qualcuno ha deciso che un certo numero di attrici che sono state vissute nella loro freschezza, soprattutto quelle che erano state belle - e me lo faccia dire, io ero bella forte - non dovessero trovare più ruoli, se non partecipazioni a supporto dei giovani. È successo a me, ma anche a Ornella Muti, Lina Sastri, Giuliana De Sio. Anche Eleonora Giorgi era stata tagliata fuori: lei aveva un attaccamento feroce al lavoro ma non le è stata data più la possibilità di lavorare».

Come ha vissuto la malattia di Eleonora Giorgi?

«Eleonora ha avuto un grande coraggio, mostrando una parte di sé in un momento in cui solitamente si tende a chiudersi. Ha sfondato un muro. Ha parlato in pubblico della malattia per dare coraggio alle altre persone malate. Io non so se ce l’avrei fatta».

Da anni è in campo contro la violenza sulle donne. Perché è un fenomeno inarrestabile?

«Perché il codice rosso a volte funziona, altre no. Perché dovrebbero essere modificate alcune leggi, lo stalking andrebbe punito in maniera più rigida, le pene andrebbero aumentate, servirebbe una maggiore formazione in tutte le istituzioni».

Ha mai pensato alla politica?

«No, sono fuori dal politichese. Ai convegni del Salvamamme sono venute tutte le fazioni politiche: noi non abbiamo bandiere, perché non esistono colori per la violenza. Mi viene in mente solo il rosso del sangue».

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