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La fragilità non va combattuta ma capita, accolta e valorizzata

di Andrea Bomboi*
La fragilità non va combattuta ma capita, accolta e valorizzata

Per dirla con D’Avenia: bisogna imparare l’arte di sapere essere quelli che siamo

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Una società di automi, di consumatori, impregnata di inganni e bugie, dove la fragilità dell’individuo è spesso nascosta e respinta.

Colui che è ritenuto fragile è percepito come se fosse un difetto del sistema, non contemplato da nessuno, né dai vertici di un’azienda rivolta al solo profitto, né dalle persone comuni che con atteggiamento abietto, insopportabile e arrogante, credono di essere superiori, senza punti deboli.

La fragilità è vista come una minaccia, quasi fosse una malattia da eradicare, da sconfiggere e da reprimere all’interno delle proprie menti, con attenzione a non farla mai uscire. Tutti devono essere forti e, come tali, tutti devono riuscire a vincere. Chi non ce la fa, chi non ci arriva, chi resta indietro è considerato inesorabilmente un “perdente”. Si tratta di un modus vivendi vecchio come la storia dell’uomo. La società è lo specchio dell’umanità, attraversa tutte le epoche, che sempre si ritrovano a mutare radicalmente in base a vari fattori storici.

Col passare dei secoli è inevitabile che l’uomo esteriormente cambi oltre che nel suo aspetto anche nei suoi modi, ma alcuni dei suoi comportamenti rimangono immutati. Tra questi c’è proprio l’isolare chi è più debole. L’isolamento è imposto a livello pratico e soprattutto psicologico.

In questo isolamento chi è più “debole” è come se si autocondannasse, perché si ritiene lui stesso l’unico colpevole della propria condizione e quindi, trovandosi peggiorato ulteriormente, rimane intrappolato in un circolo mentale vizioso. Questa società individualistica, di conseguenza, distruggendo il concetto di unione, che forse un tempo era più vivo che nel presente, annulla l’individuo costringendolo a dubitare di sé stesso e facendogli credere di essere il risultato di un’erronea fabbricazione.

É proprio questa falsità e questa violenza psicologica, che contraddistingue la cosiddetta civiltà, a rendere palese la sua contraddizione. La fragilità è in realtà la più grande forza dell’essere umano e costituisce la sua vera essenza di fondo. Da questo punto di vista è interessante il messaggio che si può cogliere dal libro “L’arte di essere fragili” di Alessandro D’Avenia (nella foto) , appena pubblicato che afferma: «L’arte da imparare in questa vita non è quella di essere invincibili e perfetti ma quella di saper essere come si è, invincibilmente fragili ed imperfetti». L’uomo vulnerabile che non si nasconde dietro una maschera è l’uomo più buono e sincero, che si fa riconoscere per quello che è e non per quello che vuole essere. L’uomo fragile è colui che riesce a superare i propri limiti e a diventare una persona capace di affrontare la propria vita senza soffrire ulteriormente e forse riesce a realizzarsi come cittadino e prima di tutto come individuo, magari trovando ulteriore sostegno in un’altra persona. Sempre D’Avenia scrive: « Essere fragili costringe ad affidarsi a qualcuno e ci libera dall’illusione di poter fare da soli». Cercare aiuto negli altri, magari in persone anch’esse fragili, non è un difetto ma la più grande forza che ci possa essere .

Sintetizzando, l’uomo dei nostri tempi non è perfetto ma è un essere imperfetto con punti di forza e di debolezza. Il voler nascondere queste imperfezioni, che alcuni considerano il male dell’uomo, è quanto di più sbagliato si possa fare. Quella di nascondere ciò che si è veramente è un errore che spesso ha conseguenze gravi e porta a grandi sofferenze.La società moderna dovrebbe cogliere la fragilità come normalità, come una caratteristica individuale che rende l’individuo “umano” e non un automa senza sentimenti. La debolezza più grande, al contrario, è l’illusione di essere forti e potenti

*Andrea è uno studente del liceo Pira di Siniscola
 

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