Bruno e Daga, prove di matrimonio
La segreteria del Pd tenterà l’impresa: uno vorrebbe la semplice alleanza, l’altro preferisce l’apparentamento
ALGHERO. Due settimane volano e mille voti di differenza, nel tritacarne del ballottaggio, diventano briciole. Ecco perché gli sfidanti Bruno e Salaris non hanno avuto neanche il tempo di tirare il fiato e sono già al lavoro.
Al momento il terreno più sdrucciolevole è quello sul quale si muove il centrosinistra. Mario Bruno ha una prateria di voti sterminata nella quale brucare. Ma è tutto sulla carta, perché basta un passo falso per inciampare irrimediabilmente. Potrebbe sicuramente attingere dal bacino del Pd, con le sue 3mila preferenze. D’istinto verrebbe da dire che anche Sel è più incline a guardare più dalla sua parte, piuttosto che ruotare lo sguardo di centottanta gradi e votare a destra. Ma la genesi della coalizione di Bruno non è statta indolore, ha suscitato strappi nella politica. Perciò certe affinità elettive non sono più così naturali.
Sul fronte Pd a sbrogliare la matassa ci stanno provando le pazienti mani di Silvio Lai e Renato Soru. In pratica la segreteria del partito è consapevole che tra Bruno e Daga ormai esiste una lacerazione quasi insanabile. Non tanto tra i due leader, che da politici navigati hanno nel corredo genetico il cromosoma del compromesso. Ma di più tra i rispettivi uomini, che di scendere a patti non vorrebbero sentir parlare. Una larga fetta degli elettori di Daga, per essere chiari, a caldo non ci penserebbe due volte a dirottare i propri voti sulla Salaris. E non è detto che Daga riesca a imprimere un’indicazione contraria, perché non si tratta di truppe cammellate. Insomma c’è il rischio che si voti di pancia. Con queste premesse ricucire la frattura del Pd è complicatissimo. Una strada potrebbe essere l’apparentamento: significherebbe che Daga entrerebbe di diritto nel computo dei quozienti e nella spartizione delle poltrone, proprio come se avesse aderito alla coalizione sin da principio.
Questa per Daga e per i suoi sarebbe un’apertura interessante. Un po’ meno per Bruno, perché, pallottoliere alla mano, significherebbe rinunciare a due caselle in consiglio. Perderebbe il posto in prima battuta Sartore, e poi arriverebbe il mal di pancia dell’Upc, che dovrebbe rinunciare a Linda Oggiano. Più uno scontato posto di governo per Enrico Daga, cioè un assessorato e magari la poltrona di vice sindaco. Ecco, far digerire un sacrificio del genere al suo esercito, dopo essere passati per gli eretici che hanno distrutto un partito, per Bruno sarà un’impresa. Ecco perché lui con tutta probabilità preferirebbe un accordo di tipo politico, piuttosto che il più formale apparentamento. Alla base in verità c’è anche un ragionamento tecnico: un’alleanza non intaccherebbe l’assetto dei consiglieri, nel senso che le sedie di Sartore e Oggiano sarebbero salve. Il Pd manterrebbe gli attuali due consiglieri (senza cioè acquisire gli ulteriori due che spetterebbero con l’apparentamento) ma in compenso otterrebbe una contropartita nei ruoli di governo. Cioè un assessorato e qualche altro gentile omaggio.
In questo scenario la maggioranza risulterebbe rinforzata, perché da 15, con il supporto di due unità del Pd, si allargherebbe a 17. E il Pd per addolcire la pillola ai fedelissimi di Bruno, cosa potrebbe fare? Oltre al sostegno nel ballottaggio, potrebbe anche azzerare la segreteria cittadina, con le dimissioni di Mario Salis.
Questa sulla carta sarebbe una piattaforma plausibile sulla quale intavolare un accordo, nella quale ciascun alleato fa un passo indietro.
Percorrerla e renderla operativa, tra malumori, rancori e tensioni, sarà un altro paio di maniche.