Dal cargo Klearchos allo yacht Atina: millenni di naufragi nel mare di Olbia
Numerosi i relitti nei fondali del golfo e di Tavolara. A Porto San Paolo i resti del Chrisso
Olbia. Lo yacht si trasforma presto in un inferno di fiamme e di fumo nero. Davanti a una spiaggia con gli ombrelloni ancora aperti, il lussuoso 47 metri si gira su un fianco e scompare infine sotto il pelo del mare. Il naufragio dell’Atina – riportato in superficie nei giorni scorsi dopo una complessa operazione di recupero – è solo l’ultimo di una lunga serie. Il mare che bagna Olbia e le coste attorno è disseminato di relitti sia di legno che di lamiera. Si va dalle navi romane e medievali fino ai mercantili di epoche più recenti, passando poi per le più grosse navi cargo ora diventate gigantesche tane per cernie, polpi e orate. Storie di mare e di investimenti naufragati, ma anche di inquinamento e di disgrazie. Il golfo di Olbia – così come gli specchi di mare vicini – è insomma una enorme distesa azzurra sotto cui si nascondono mondi e tesori della storia perduti. Il maxi yacht Atina, affondato la sera del 10 agosto, è stato appena riportato a galla con la stessa piattaforma utilizzata per il recupero della nave Concordia. Molto altro, invece, è ancora laggiù. Imbarcazioni sommerse che, al massimo, possono ormai incrociare soltanto lo sguardo dei sub con le bombole di ossigeno sulle spalle.
I grandi naufragi. Impossibile fare la conta di tutto ciò che si nasconde in fondo al mare. I relitti sono chissà quanti e sono sparsi un po’ ovunque. Ma tra i naufragi più importanti ci sono sicuramente quelli avvenuti alcune decine di anni fa nel mare che bagna l’isola di Tavolara. Basti pensare alla motonave da carico di nome Chrisso. Era la sera del 31 dicembre del 1974, cinquanta anni fa, quando si incagliò negli scogli di Punta La Greca, quasi di fronte a Porto San Paolo. I tentativi di recupero andarono a vuoto e la nave restò lì: oggi non si vede più nulla, ma fino a non troppo tempo fa si poteva ancora chiaramente vedere la nave cipriota addirittura spezzata in due. Tra le isole di Tavolara e Molara, il 14 luglio del 1979, andò invece a fuoco la motonave da carico Klearchos: un cargo greco da 74 metri che trasportava sostanze tossiche. Impossibile salvarla: fu lasciata affondare e oggi si trova ancora lì, sul fondo del mare, rivestita di gorgonie rosse e gialle.
I traghetti. Più volte le navi che entrano ed escono dal porto di Olbia hanno avuto qualche problemino, per fortuna quasi sempre senza gravi conseguenze. Nel 2020 una nave cargo Grimaldi si incagliò nella parte più interna del golfo, danneggiando anche i filari degli allevamenti di cozze, mentre nell’autunno del 1999 una nave della Tirrenia si arenò nei bassissimi fondali di Cala Saccaia. Diventò una attrazione, con centinaia di persone che, ogni giorno, raggiungevano la spiaggia per assistere allo “spettacolo” del gigante sulla sabbia. Invece più lontano, poco più di un anno fa, la tragedia: nella collisione tra un traghetto e un peschereccio, al largo di Capo Figari, morì un marinaio di 41 anni. Ma a Olbia ci si ricorda anche del naufragio del super yacht Nadine, a 40 miglia da Cala di Volpe, nel giugno del 1996. I 19 naufraghi furono salvati dalla capitaneria di porto di Olbia. A bordo del lussuoso panfilo, con tanto di elicottero e idrovolante, c’era il broker americano Jordan Belfort: in altre parole, il protagonista, interpretato da Leonardo DiCaprio, del film The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese.
La guerra. Non mancano poi le storie di guerra. C’è per esempio quella del piroscafo Tripoli, affondato al largo di Capo Figari nel marzo del 1918 da un siluro lanciato da un sommergibile tedesco. I morti, secondo alcune stime, furono quasi 300. Il relitto, adagiato su un fondale di mille metri, è stato individuato e trovato solo dieci anni fa dalla Marina. Nel 2016, invece, al largo dell’isola di Tavolara è stato ritrovato il sommergibile inglese Hms P311: affondò nel gennaio del 1943 dopo l’urto con una mina. Lo scovò l’esploratore di relitti Massimo Domenico Bondone con il supporto dell’Orso diving. All’interno del sommergibile ci sono ancora i corpi dei 71 membri dell’equipaggio.
Nella storia. Olbia è un porto fin dall’antichità e nelle sue acque sono affondate tantissime imbarcazioni. Basti pensare alle 24 navi romane e medievali trovate nel 1999 nello scavo del tunnel: tre sono esposte al museo, le altre sono state tragicamente abbandonate in uno spazio all’aperto dell’ex Artiglieria Santa Cecilia. L’archeologo dell’Ottocento Pietro Tamponi – come ricorda l’esperto di storia locale Simplicio Usai – aveva elencato decine di imbarcazioni affondate nel tratto di mare tra Capo Ceraso e Porto San Paolo. Certe volte i nomi delle navi hanno lasciato un segno anche nella toponomastica. Come il bastimento Simpatia affondato nel 1908, che dà il nome a una secca nel golfo interno, o all’imbarcazione chiamata Sassari, che dà appunto il nome alla spiaggia Cala Sassari nel territorio di Golfo Aranci. Diverse, a Capo Figari, le tombe dei marinai che hanno perso la vita in mare.