Lo Ieo sbarca a Olbia, Paolo Veronesi guida il suo staff
Il professore dell’Istituto Europeo di Oncologia visita al Medical Suite. «Evitiamo alle pazienti i viaggi fuori dalla Sardegna»
Olbia Il progetto si chiama “Medici dello Ieo nella tua città” e lo scopo è quello di portare l’esperienza e la qualità dell’Istituto europeo oncologico nell'ambito di prevenzione, diagnosi e cura sul territorio nazionale. È partita così la collaborazione con poliambulatori e centri polispecialistici convenzionati con l’Istituto e adesso soprattutto le donne, ma anche gli uomini, possono sottoporsi a visite specialistiche e di controllo affidandosi ad alcuni tra i più grandi professori conosciuti a livello nazionale e internazionale. Tra loro c’è Paolo Veronesi, senologo chirurgo, professore in Chirurgia generale all’Università degli studi di Milano, direttore della divisione di Senologia chirurgica allo Ieo e presidente della fondazione Umberto Veronesi, intitolata e dedicata a suo padre.
E proprio Paolo Veronesi e il suo staff (si alternano con lui diversi specialisti) già da un anno sono sbarcati a Olbia. Si appoggiano al centro polispecialistico Medical Suite di via Pietro Chiesa, nel rione San Nicola, gestito dalla titolare Sara Masala. «Sono sedici, complessivamente, i medici che garantiscono visite nel mio centro - racconta Sara Masala -. Ho puntato sulle specialità per le quali c’era una forte richiesta e con un obiettivo principale: dare risposte immediate senza far aspettare la paziente. In questo primo anno, Veronesi ha già visitato e seguito 185 donne che arrivano da ogni parte della Sardegna, a partire da Sant’Antioco sino ad arrivare a La Maddalena. Un progetto, questo, che spero di poter ampliare ulteriormente».
La pensa così anche il professor Paolo Veronesi: «Il centro di Olbia è uno degli ultimi, tra i 28 attivati in Italia, che abbiamo convenzionato. È chiaro che all’inizio si parte un po’ in sordina, si va avanti con il passaparola e pian piano si cresce. Infatti i numeri sono in continuo incremento e ci sono tutte le premesse per potenziare la collaborazione. Questo è un progetto nato nel 1995 quando, trent’anni fa, ho cominciato ad andare in Calabria per seguire “a casa loro” diversi pazienti. Poi è diventata una vera e propria iniziativa istituzionale e lo Ieo si è fatto carico di convenzionare i centri diagnostici e poliambulatori in diverse regioni italiane, eccetto ovviamente la Lombardia. Insomma, a muoversi sono gli specialisti e oltre alla senologia garantiamo prestazioni di oncologia medica, urologia, chirurgia plastica, ginecologia, chirurgia toracica e otorinolaringoiatria. E tutto avviene in rete, perché si carica ogni informazione sul datebase dello Ieo: ma è a Olbia che si svolgono le visite ambulatoriali, sia le prime visite che i controlli per persone già in trattamento o operate, e in questo modo si evitano viaggi onerosi per tanti pazienti che spesso si spostano con le famiglie. Noi dello Ieo ci muoviamo prevalentemente durante i week end e con questo servizio evitiamo lunghe trasferte e pesanti disagi. Anche in Sardegna la mobilità passiva è ancora elevata e la nostra iniziativa può contribuire ad abbassare l’indice di fuga. È chiaro che se occorre un intervento chirurgico di una certa importanza la paziente può venire allo Ieo, ma può anche decidere di operarsi nell’isola, dove non mancano le strutture adeguate».
Sul rapporto tra donna e prevenzione, Veronesi sostiene che sia «un rapporto particolare. Le donne sono molto più attente rispetto agli uomini perché vengono educate da ragazzine ad andare dal ginecologo. Poi, però, le cose cambiano. Si sa che il tumore più frequente è quello della mammella, ma quando le donne arrivano ai 40-45 anni e cominciano a ricevere l’invito per fare una mammografia gratuita (lo screening è offerto dal Sistema sanitario nazionale), allora si registra un fenomeno curioso. Nel nord Italia le donne che ricevono l’invito, vanno a fare lo screening con un’adesione superiore al 90 per cento. Nel centro e nel sud Italia, invece, l’adesione complessiva è sotto il 50 per cento. C’è insomma un problema culturale. Noi abbiamo fatto una indagine per capire bene perché le donne si tirassero indietro e una percentuale non trascurabile ha risposto: “Perché abbiamo paura di quello che si può trovare”. E quindi siamo esattamente dalla parte opposta rispetto a dove dovremmo essere. Noi facciamo questi esami per trovare eventualmente qualcosa all’inizio, ma molte donne scoprono la malattia già in fase avanzata con una minor possibilità di cura. Proprio per questo - chiude Veronesi - noi e la stampa, che ha un ruolo importante in questa direzione, dobbiamo essere attivi nel continuare a sensibilizzare le donne. A loro dobbiamo ripetere che la prevenzione non solo ti salva la vita ma riduce anche le terapie e in molti casi evita la chirurgia. Un tumore che oggi viene scoperto quando è ancora piccolissimo si può curare in day hospital e in poche ore».