La Nuova Sardegna

Il commento

Christian Solinas: «Siamo diversi, ma insieme per l'isola»

Christian Solinas
Christian Solinas
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Il governatore sardo interviene dopo l’editoriale del direttore Antonio Di Rosa pubblicato giovedì

02 novembre 2019
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Gentile Direttore, nel Suo editoriale “Se la Sardegna non è Milano” ha proposto una serie di riflessioni che interrogano nel profondo l’intera classe dirigente sarda sul piano della concretezza e dell’azione. Argomenti, invero, ben noti, direi atavici, che affliggono fatalmente l’Isola in ragione delle divisioni, delle pretese supremazie tecniche, scientifiche e finanche morali dei suoi protagonisti. Certo, esistono innegabilmente differenze “sane” di ordine culturale e politico che rappresentano, a mio avviso, una risorsa ed una ricchezza. ma impongono il faticoso esercizio della democrazia, del dialogo e del rispetto reciproco per essere portate a sintesi.

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Purtroppo, questo tempo ci consegna invece un ben percettibile fastidio verso le procedure democratiche; si inneggia alle semplificazioni che diventano schematismi, stereotipi, slogan: per decidere in fretta bisogna avere assemblee meno numerose, come se il fatto di essere in pochi a decidere sia garanzia di buone scelte; le leggi elettorali devono avere soglie di sbarramento, così si limita la presenza delle minoranze; mettiamo tecnici ovunque, così limitiamo la politica, come se in sé la politica non fosse un'arte ed un esercizio nobile ma una malattia del sistema. Su questi presupposti, da decenni, si è aperto un cantiere insonne delle riforme: ad ogni cambio di legislatura non c'è argomento che non rientri nel perimetro di una riforma necessaria, di una nuova legge, di un nuovo assetto. Nel frattempo abbiamo la più grande e confusa proliferazione normativa su tutto, stratificata al punto da rendere inutilmente complessa la ricostruzione delle discipline di settore fino a compromettere irrimediabilmente per cittadini e operatori la stessa certezza del diritto.

Personalmente, ritengo che questo sia necessariamente il tempo di un cambio di mentalità e di passo se non si vuole rendere sterile anche questa legislatura, apertasi sulla soglia di una congiuntura nazionale ed internazionale che non permette più tentennamenti né le liturgie vacue di un bipolarismo alternato ed egolatrico, senza verità e senza progetto.

La Sardegna, intesa come sistema, ha bisogno di ricostituire un'idea di fondo di se stessa e del proprio sviluppo ed una tavola di valori condivisi, che siano alla base del confronto culturale, sociale e politico mirato a selezionare di volta in volta gli strumenti più efficaci per affermarla e non a mettere continuamente in discussione ogni cosa. Occorre, preliminarmente, recuperare il senso profondo dell'impegno civico al quale sono chiamati i governanti ed i legislatori regionali e con esso il rispetto e la legittimazione che univocamente deve riconoscersi alle istituzioni democratiche. Perché appare veramente difficile anche solo pensare all'autorevolezza necessaria per affermare una visione di ampio respiro e di lungo termine in un contesto guerreggiante nel quale l'uso invalso e consolidato è proprio la delegittimazione e la demonizzazione sistematica dell'avversario.

Sul terreno del rispetto e del reciproco riconoscimento sono convinto, invece, si possa trovare uno spazio ampio di collaborazione democratica tra le forze politiche, pur nella fisiologica distinzione dei ruoli, per definire riforme strutturali condivise e durature sui grandi temi strategici e fondamentali per il futuro dell'Isola.Il tema dell'insularità è senza dubbio un ottimo precedente. Esiste una condivisione unanime a livello politico, sociale e culturale in Sardegna sul fatto che esistano svantaggi strutturali permanenti derivanti dalla condizione di insularità e che questi debbano trovare una forma di compensazione che non serve a dare vantaggi ma pari opportunità a noi Sardi per competere in condizioni di uguaglianza col resto dei cittadini italiani ed europei, per vedere affermati i medesimi diritti e la stessa intensità delle prestazioni essenziali.

Su questo c'è una mobilitazione popolare, esistono iniziative comuni ed io, come Presidente della Regione, sto interpretando tutto ciò come un indirizzo nell'azione di governo, che ho già tradotto con la sottoscrizione di un documento comune tra le Isole del Mediterraneo perché questo principio venga riconosciuto anche e soprattutto in sede comunitaria. Sto, altresì, trattando con lo Stato affinché nella cornice di un accordo sulla vertenza entrate/accantonamenti venga avviata immediatamente una trattativa sulla compensazione di tali svantaggi insulari che anticipi l'introduzione del principio in Costituzione.Esistono, però, grandi temi di assoluto valore sui quali vorrei chiamare ad una saldatura l'intera società sarda per scrivere finalmente insieme leggi che indichino un percorso per i prossimi vent'anni: sanità, trasporti, istruzione e cultura, urbanistica e paesaggio, energia e ambiente, governance pubblica e burocrazia.

La domanda di salute dei cittadini, la ridefinizione del modello di governo della sanità, la garanzia dei presidi territoriali sono argomenti sui quali non si può invertire la rotta di continuo, anche perché una legislatura non è sufficiente a portare a regime una riforma profonda e seria e si rischia il caos. Così come la ricerca di un nuovo punto di equilibrio tra urbanistica, edilizia e paesaggio è ormai un'urgenza avvertita pesantemente dai cittadini e dalle imprese: dobbiamo restituire certezza del diritto, che significa chiarire cosa si possa e cosa non si possa fare e come debba esser fatto nel rispetto dei valori paesaggistici ed ambientali, che nessuno vuole cancellare.

Ancora, sulla continuità territoriale - marittima, aerea e metro-ferro-tramviaria - occorre un modello che garantisca il diritto dei sardi alla propria mobilità e della Sardegna nel suo complesso ad essere connessa ed accessibile per sviluppare appieno le proprie potenzialità di crescita economica. Questo non è un tema su cui tenere un approccio ideologico quanto piuttosto un terreno di confronto di interesse collettivo che sfida l'intera classe dirigente ad una risposta di sistema.

Credo vi sia, come ho detto nelle mie dichiarazioni programmatiche, l'esigenza di individuare un filo d'orbace che unisca le diverse politiche di settore in un disegno organico con una direzione chiara verso il futuro: ho parlato dell'identità, che non è contemplazione del passato né chiusura in se stessi, quanto piuttosto un valore che si costruisce giorno per giorno nel fare, avendo certo consapevolezza delle proprie radici ma guardando al significato dell'essere sardi oggi nel mondo ed in ogni settore.Mi sono chiesto e mi chiedo, per ogni azione di governo: quale profitto per la Sardegna? Quale vantaggio per i Sardi? Non per questa o quella maggioranza. Per tutti. Su questo sentiero, ritengo possano incontrarsi mondi, esperienze, culture e forze politiche che abbiano a cuore il tratteggio di un modello di sviluppo nuovo ed inclusivo dell'Isola, a partire dall'indispensabile ricucitura delle zone interne, delle periferie e dei territori marginali con il resto della regione. Occorre un nuovo patto tra le città e le campagne, tra l'interno e le coste, che non lasci spazio agli egoismi del passato: non esiste possibilità che la Sardegna si salvi solo in parte, o tutti o non si salva nessuno. E dobbiamo guardare con attenzione estrema alle zone del disagio e del malessere, perché spesso, proprio lì affondano le radici più profonde della nostra storia di Popolo, della nostra tradizione culturale e linguistica, del nostro inestimabile valore aggiunto di specificità e peculiarità.

Nell'Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium anche il Santo Padre Francesco ha voluto ricordare i quattro principi fondamentali per il bene comune e la pace sociale: il tempo è superiore allo spazio; l'unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell'idea e il tutto è superiore alla parte. La sfida che ci attende è senza dubbio ardua, ma il dado è tratto.

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