Bagnini e rischio Covid: prima leggo l'ordinanza, poi ti salvo
Il dubbio è che la selva di restrizioni forse nasconda l’incapacità di mettere in campo un buon sistema sanitario - IL COMMENTO
La pandemia covid-19, che ha stravolto le nostre vite e gettato il mondo intero nel caos, resterà nella storia. Resteranno i sacrifici, la paura, i danni, i numeri dei malati e dei morti, gli eroismi, le parole, le inchieste, forse i processi. Ma resteranno anche, e attireranno l’attenzione degli storici, episodi, fatti e “stranezze” presenti nella selva di ordinanze e linee guida con prescrizioni eccessive e/o inutili, frutto dei tempi , della paura e dell’eccesso di prudenza, provenienti da autorità varie e comitati tecnico-scientifici che “consigliano” sindaci, governatori e ministri. Ad imporsi, tra le tante in quest’era della post-emergenza, è il divieto di soccorso con la respirazione bocca a bocca. Una delle tante che – come quella delle distanze tra ombrelloni – incombono sulla prossima estate, su cui fortunatamente si è allentata, in questi ultimi giorni, la morsa di divieti, regole, misure di distanziamento fisico.
Per farsene un’idea, in questi ansiosi e incerti giorni d’inizio di riapertura basta leggere il “Documento tecnico sull’analisi di rischio e le misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nelle attività ricreative di balneazione e in spiaggia”. Elaborato dall’Inail e dall’Istituto superiore di sanità, contiene “indicazioni” tanto dettagliate, quanto assurde. Si può cominciare da quelle per il servizio di salvamento in mare. Niente respirazione bocca a bocca, come detto. Che deve fare, dunque, il bagnino o il soccorritore in presenza di un’incombente richiesta d’aiuto da una persona che sta per annegare? In attesa di nuove evidenze scientifiche si raccomanda «di valutare il respiro soltanto guardando il torace della vittima alla ricerca di attività respiratoria normale, ma senza avvicinare il proprio volto a quello della vittima e di eseguire le sole compressioni (senza ventilazioni) con le modalità riportate nelle linee guida».
In altre parole il soccorritore si deve attenere alle regole, riducendo i rischi , senza venire meno alla necessità di continuare a soccorrere prontamente e adeguatamente le vittime di arresto cardiaco. Insomma, non ci si potrà avvicinare per evitare di contagiare e di essere contagiati. Un rischio, oggettivamente basso, per il soccorritore-bagnino, che si suppone giovane e nelle migliori condizioni di salute, a fronte di quello di chi sta correndo il pericolo di soccombere con sindrome di annegamento. Non solo, durante l’intervento occorre indossare i dispositivi di protezione: incombenza che - è facile immaginare - sottrarrà preziosi minuti, durante i quali a chi annaspa in mare non resterà che invocare San Cristoforo, il santo patrono dei bagnanti. Volendo evocare una situazione concreta, si può fare un esempio, restando in Sardegna: la spiaggetta di punta Tegge, uno dei posti più suggestivi dell’arcipelago della Maddalena, dove il bagnino, issato su un’alta torre di legno, dovrebbe scendere - se richiamato da un bagnante in difficoltà – indossare i suddetti Dpi e poi procedere al salvataggio, avendo cura, alla fine, di lavarsi le mani con acqua e sapone o con gel sanificante a base di alcool.
Resteranno negli Annali le “strategia di gestione del rischio” negli stabilimenti balneari con distanze di 4,5 metri tra ombrelloni e l’obbligo degli “utenti” di indossare la mascherina al momento all’arrivo e all’uscita dallo stabilimento, a temperature che, non solo nel mezzogiorno e nelle isole, raggiungono talora i 40 gradi. E resteranno, ancora, i tentativi di programmare minutamente gli spazi delle le spiagge libere con una una serie di indicazioni generali che prevedevano il contingentamento, la mappatura e il tracciamento del perimetro di ogni allestimento (ombrellone/sdraio/sedia), e così via distanziando al fine “di evitare l’aggregazione”. Nessuno che abbia vissuto questi mesi, fermi, sprangati, può coltivare dubbi sulla necessità della prevenzione. Che dovrà essere affidata al buonsenso di autorità varie e alla responsabilità che abbiamo dimostrato di avere. Covid-19 non è la pe ste polmonare e le lezioni di questi mesi ci hanno insegnato come far fronte al coronavirus, a patto di mettere in campo mezzi e forze adeguate. A pensar male, si sa, si fa peccato, ma spesso si coglie nel segno. Siamo sicuri che questa selva di restrizioni non nasconda l’incapacità di mettere in campo un sistema sanitario efficiente, una medicina del territorio in grado di assicurare l’individuazione precoce dei casi, il tracciamento, il trattamento e l’isolamento degli infetti in strutture idonee?