Il prezioso patrimonio della lingua sarda
Il nostro modo profondo, identitario, di usare le parole, nelle sue varianti e nelle sue forme migliori, va tutelato e fatto conoscere
Alle elementari avevo fatto un breve corso di sardo. Una delle maestre della scuola – se non ricordo male la più anziana - veniva in classe una volta alla settimana. Ci insegnava i principi di grammatica e i verbi essere e avere, più qualche frase fatta facile da ricordare. Non l’abbiamo mai presa sul serio. E a posteriori, me ne sono pentito. Perché se non avessi avuto, da grande, la curiosità e l’interesse di imparare a capire e a parlare sa limba, io il sardo, intercalari a parte, non l’avrei saputo mai. Siamo ciò che facciamo, e pure ciò che pensiamo, ma soprattutto siamo ciò che diciamo. Siamo le idee, i pensieri, il modo di raccontare la vita degli altri e la nostra. In Sardegna ne siamo più che consapevoli. E il nostro modo profondo, identitario, di usare le parole, nelle sue varianti e nelle sue forme migliori, è un patrimonio da tutelare e far conoscere. Nelle città il fenomeno attecchisce meno, ma nei paesi resiste ancora in modo molto forte il bilinguismo. Che non è stereotipo e nemmeno folklore. È avere gli strumenti per capire chi siamo stati, l’eredità di chi ha sognato, vissuto, parlato prima di noi.
Bisogna ricominciare, per capire quanto valga tutto questo, da quelle rare case, sparse in giro per l’isola, in cui si parla ancora il sardo. O dai ragazzi che, in un liceo di Siniscola, a ricreazione giocano alla morra. O dagli istituti di Perfugas, Ploaghe, Chiaramonti, Laerru, Martis ed Erula, che insegneranno, di qui a poco, il sardo ai loro studenti. È l’unico modo per aderire al presente, senza tradire il passato per la sola colpa di non riuscire a capirlo, a tradurlo. Si può imparare anche dal Premio di poesia di Ozieri, in lingua sarda, che da anni illumina ed esalta lo sguardo sardo sul mondo. E di poesia ne abbiamo tanta: non più tardi di mezzo secolo fa, le piazze in Sardegna erano animate dalle gare dei poeti a bolu. Erano eventi collettivi, catartici, importanti. Forse il segreto sta proprio qui, nel ricordarsi che, per proteggere qualcosa, bisogna essere in tanti. Forza Paris.