La Nuova Sardegna

La testimonianza

Dolori, nausea, debolezza: da due anni Gabriele vive nell’inferno del Long Covid. La sua storia

di Luigi Soriga
Dolori, nausea, debolezza: da due anni Gabriele vive nell’inferno del Long Covid. La sua storia

Sassarese, 40 anni, combatte con un nemico invisibile che prosciuga le forze: «Ho continui spasmi e fastidi di ogni tipo ma gli esami sono negativi»

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Sassari Gabriele Ganga ha quarant’anni. È nato a Sassari. Ora vive a Liverpool. Faceva una vita normale. Lavorava, si allenava, correva dieci chilometri alla volta. Dormiva bene. Aveva un corpo che funzionava.
Poi, a cavallo tra febbraio e marzo 2022, ha preso il Covid. Febbre alta per qualche giorno. Poi basta. Guarito, dicono. È tornato al lavoro. È tornato in palestra. È tornato a vivere, apparentemente.
Solo che il virus non era andato via. Aveva solo cambiato forma. Da due anni combatte con un nemico invisibile, subdolo, che nessun esame diagnostico e nessun medico sa davvero spiegare. Si chiama Long Covid, ma lui lo definisce con un’altra parola: inferno.
«Vorrei che la gente arrivasse a leggere fino in fondo la mia storia. Perché io ho bisogno di raccontarla», dice. E allora eccola, la sua storia. Una di quelle che iniziano con “una semplice influenza” e finiscono con una vita in stand-by.
Era tra febbraio e marzo del 2022 quando Gabriele prende il Covid. «Cinque giorni di febbre alta, qualche starnuto, niente di eccezionale. Una settimana dopo ero di nuovo al lavoro. Pensavo di essermela cavata». Ma quello era solo il prologo.

Dopo pochi giorni, strani sintomi iniziano a farsi strada. «Avevo dei rash cutanei che comparivano ogni sera e sparivano al mattino. Pensavo fosse un’allergia stagionale». Poi, tornando in palestra, comincia ad avere dei disturbi visivi. «Dopo dieci minuti di tapis roulant mi compariva una macchia nel campo visivo, uno "scotoma scintillante", che durava quasi un'ora». Subito non gli dà peso, ma il problema si manifesta puntuale, ogni volta che svolge attività aerobica. Così iniziano le visite, gli esami, gli accertamenti. Carenza di folati, dicono. Acido folico, e passa tutto. Ma non sarà così semplice. Il corpo non risponde più. Le mani diventano gelide, la pelle pallida, l'insonnia prende il sopravvento.

«La notte ho delle strane palpitazioni e una sensazione che si irradia dallo stomaco alla zona del cuore. Mi assale la nausea improvvisa, come un mal di mare. Poi non tollero più il freddo, mi sento sempre svenire, una pressione strana alla testa, un fischio continuo nelle orecchie». Corre al pronto soccorso di Liverpool, lo rivoltano come un calzino, 16 ore in osservazione. «Frequenza cardiaca a 40, temperatura a 35 gradi. Mi fanno un holter, non risulta nulla se non una bradicardia notturna». Da lì in poi, un’escalation di sintomi: spasmi, scosse, extrasistole, sete costante, debolezza devastante.

Un pellegrinaggio tra medici, cardiologi, neurologi. Tutto nella norma. «Mi dicono che è psicosomatico. Vado da una psichiatra. Provo con la psicoterapia. Nulla cambia».
Rientra in Sardegna. Visite, ecografie, esami del sangue, gastroscopia. Sempre la stessa risposta: tutto a posto. «Eppure io sto malissimo. Ogni giorno aggiungo un nuovo sintomo alla lista. Le fascicolazioni, le mioclonie, i tremori, parestesie alla testa, la sensazione costante di svenire. E ancora sbalzi di pressione e di frequenza cardiaca anche da seduto, senza aver fatto alcuno sforzo. Ero uno sportivo, correvo 10 km, ora faccio fatica ad alzarmi dal letto».
«Ti dicono che è tutto nella tua testa: torna a lavorare, fai sport, smettila di pensarci. Ma non era nella mia testa. Lo sentivo nel cuore, nei muscoli, nel cervello, ovunque».
Continua con visite, prove farmacologiche, terapie psichiatriche, Emdr. «Nulla funziona. I sintomi peggiorano».
A questo punto l’esistenza si fa sempre più claustrofobica, Gabriele sta sempre a letto, vive nel buio e nell’immobilità. Una risonanza cerebrale esclude patologie neurologiche. Ma lui non si arrende. Scava, cerca, studia. «Scopro gruppi su Facebook, Telegram, persone in tutto il mondo nella mia stessa situazione. È lì che capisco: sto vivendo il Long Covid. E pensare che all’inizio ridevo all’idea che potesse esistere una cosa simile».

Un infettivologo a Sassari gli conferma la diagnosi, ma aggiunge: «Non esiste una terapia specifica». Gabriele si sente perso.
Ad agosto 2023 ha una crisi. Ambulanza, ospedale, standing test: «Ho un calo di 35 mmHg di mercurio, stavo svenendo. Mi ricoverano per tre settimane in reparto psichiatrico. Almeno lì, per un po’, trovo un po’ di conforto umano. Mi trattano come un essere umano, non come un paziente immaginario».
A settembre finalmente un holter più lungo rileva tachicardie. Ma la terapia aiuta solo in parte. Il resto dei sintomi resta lì, tenace, feroce.

«Dopo quasi un anno in Sardegna, rientro a Liverpool, deluso. Il mio cardiologo mi dice: “Sai, ho almeno sei pazienti nella tua stessa situazione”. Mi consiglia una specialista in Long Covid. Mi dà un filo di speranza. Sono in lista, forse la vedrò a marzo. Forse».
Nel frattempo lo scontrino è lungo e molto salato: «Sono quasi passati 2 anni e il mio stato di salute è andato peggiorando gradualmente. Non vivo una vita, sono limitato, soffro molto, moltissimo, ogni giorno, fisicamente e mentalmente, non ho mai pianto così tanto. Ed ero seriamente convinto che in un modo o nell'altro sarei riuscito quantomeno a migliorare la mia condizione: ho usato tutte le energie che avevo in questo e sono molto stanco, alle volte spaventato, perché vivere nell’incertezza, quando si parla di salute, non è una passeggiata, specialmente quando hai ogni giorno sintomi abbastanza spaventosi e di varia natura e non sai letteralmente cosa ti stia capitando, se devi andare all'ospedale o semplicemente sdraiarti nell'attesa che ti passi la giornata».
La storia di Gabriele è quella di centinaia, forse migliaia di italiani invisibili. Colpiti da un male che nessuno riesce ancora a mettere a fuoco. Senza diagnosi certe, senza cure, spesso senza credibilità. Prigionieri di un corpo che non riconoscono più.
Il Long Covid, per chi lo vive sulla propria pelle, non può essere solo suggestione. Basta fermarsi un attimo e ascoltare la voce di Gabriele: «Non voglio pietà. Solo che qualcuno ci creda. E che, magari, prima o poi, trovi una cura».

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