La Nuova Sardegna

Venti di guerra

Hamas e la polveriera Palestina

di Nicolò Migheli
Hamas e la polveriera Palestina

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Il segretario dell’Onu Guterres nel suo discorso nel Consiglio di Sicurezza, ha detto una verità incontrovertibile: Hamas non nasce dal nulla e ha descritto le condizioni che da anni vivono i palestinesi nella striscia di Gaza.

Discorso che ha provocato reazioni esacerbate degli israeliani. In qual discorso però sono mancate alcune precisazioni che avrebbero aiutato a capire meglio. Hamas prende il potere a Gaza nel giugno del 2007 con un colpo di Stato estromettendo Fatah e l’Anp.

I combattimenti tra le due fazioni furono violenti e molti esponenti dell’Anp furono giustiziati gettandoli dalla sommità dei palazzi. Da allora nessuna elezione, con l’imposizione della sharia e una repressione dura degli oppositori. Arab barometer è un istituto demoscopico palestinese che, secondo Foreign Affairs, dal 28 di settembre all’8 ottobre ha sondato 799 abitanti della Cisgiordania e 399 di Gaza. A Gaza il 44% degli intervistati non ha alcuna fiducia in Hamas, il 23% ne ha molto poca, il 29% la sostiene.

Si dirà che è un campione poco rappresentativo, ma è un segno che il consenso verso la formazione estremista non è così alto come viene detto. Hamas deve il suo successo ai fondi che il Qatar e altri hanno elargito permettendo un certo welfare. Però, per quanto è possibile nella nebbia di guerra, voci dissenzienti chiedono ad Hamas se quell’attacco è valso a qualcosa, visto che la reazione israeliana si sta dimostrando di una durezza senza pari. Il dramma di questa vicenda è simile a quello delle altre guerre dal 1948: uno scontro per la sopravvivenza. In un conflitto di questa portata le vittime civili diventano un dettaglio. I più pessimisti dicono che ci troviamo davanti a uno scontro di civiltà.

È così come la raccontano le propagande avverse? Per ora è ancora uno scontro per i territori dove aspetti valoriali giocano la loro importanza. Al di là delle prese di posizione contano i fatti. Se da una parte c’è a Beirut l’incontro tra il leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah, il vice capo di Hamas Saleh Aruri, e il capo della Jihad islamica Ziad Nakhale; formazioni che si sono combattute fino all’altro giorno e che oggi sembrano unite sotto l’egida di Teheran nella guerra contro il nemico comune e la conquista di Gerusalemme, da l’altra Hezbollah, che ha l’esercito non statale più forte del mondo e fino a ora ha lesinato la sua offensiva con lanci di missili quasi dimostrativi.

Se dietro i fatti del 7 ottobre ci fosse stata una regia dell’Iran, Hezbollah avrebbe attaccato simultaneamente per impegnare Tel Aviv su due fronti. Sembrerebbe che Teheran non sia pronta per una guerra su vasta scala; non la vuole perché sa che dovrebbe sacrificare 30 anni di politica per la costruzione della mezzaluna sciita tra Iraq, Siria e Libano. Sa che dovrebbe subire una dura reazione non solo Israeliana ma anche Usa e forse anche Saudita. Inoltre da un anno subisce una dura protesta popolare. La Cina, fautrice della mediazione con Riad, gli sta convincendo al non intervento, vede a rischio le forniture di greggio essenziali per la sua economia.

Nel Grande Gioco spicca la moderazione di Egitto e Giordania che temono un’altra ondata di profughi e la destabilizzazione dei loro regimi. Il Libano preme su Hezbollah perché non intervenga. Erdogan dopo aver espulso verso il Qatar la rappresentanza di Hamas, si precipita a dichiarare che quel movimento non è terrorista ma resistenza, poi però telefona al Papa sperando in un’azione di pace comune.

La posizione di Erdogan non deve stupire, è sempre in atto la lotta per la leadership del sunnismo. Se l’Occidente è con Israele, questa guerra è l’ennesima pagina dell’allontanamento dal Sud Globale che la pensa come l’Ankara. L’unica potenza filo israeliana è l’India. Dramma su dramma. Nessuno oggi ha un piano per il dopo, non ce l’ha Israele e non ce l’ha la Palestina. La speranza forse è in Marwan Barghouti di Fatah che giace nelle prigioni israeliane e che quel sondaggio gli dà il 32% di fiducia.

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