In Sardegna si spende quasi più in scommesse che in cibo
Probabilmente il gioco d’azzardo è connaturato al nostro essere umani. Le prime tracce delle regole di questa peculiare attività, rinvenute in Cina oltre 2 mila anni avanti Cristo, sono coeve alle prime forme di scrittura.
In altri termini, appena le società umane sono diventate sedentarie e hanno dato corso al processo di accumulazione dei beni, hanno iniziato a giocarseli con le più svariate modalità. Secondo le stime ufficiali riportate nel libro blu dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli, nel 2021 l’ammontare delle scommesse legali in Italia ha superato i 111 miliardi di euro (oltre 1.800 euro per abitante), ma sempre secondo fonti ADM, nel 2022 si stima che la raccolta delle scommesse, in gran parte on line, sia arrivata a 136 miliardi di euro, per effetto dell’efficace contrasto al gioco clandestino operato dalle forze di polizia.
Il nostro Paese, rappresentando il 3% del prodotto mondiale lordo, contribuisce ai giochi d’azzardo per il 22% della spesa globale, ponendosi nelle prime posizioni di questa non edificante classifica. Da questo monte premi lordo, lo Stato ricava oltre 10 miliardi di euro, essendo il resto redistribuito ai giocatori in maniera concentrata e, ovviamente, del tutto casuale. Un recente studio di Resce et al. (2019) che indaga sulle “Disuguaglianze legate al reddito nel gioco d'azzardo: evidenze dall'Italia”, ha messo in luce che “una parte rilevante dei crescenti costi sociali associati al gioco d'azzardo è più probabilmente pagata dai membri meno abbienti e potenzialmente più vulnerabili della società”.
In Sardegna, nel 2021, ci siamo giocati oltre 1.600 euro a testa (saliti probabilmente a oltre 1.900 nel 2022), piazzandoci abbastanza vicini alla media nazionale per propensione al rischio da gioco. Se mettiamo a confronto queste cifre con la spesa alimentare annua media per persona, pari a 2.150 per ogni sardo, ci rendiamo conto che nell’azzardo ci giochiamo il 9% del PIL regionale, mentre per mangiare impieghiamo una cifra molto vicina, l’11%.
Mettere accanto queste cifre ci aiuta a capire meglio l’allarme lanciato nei giorni scorsi dai media sulla povertà assoluta in Italia che, secondo l’ISTAT, ha riguardato, nel 2022, 2,18 milioni di famiglie (8,3% del totale da 7,7% nel 2021) e oltre 5,6 milioni di individui (9,7% in crescita dal 9,1% dell’anno precedente), con incidenza che arriva, fra le famiglie con almeno uno straniero, al 28,9%. La Sardegna, con il 15,3% (in diminuzione dal 2021), è una delle aree meridionali meno colpite (20,5% il dato medio del mezzogiorno), ma pur sempre indietro rispetto alla media nazionale.
Da qui la povertà alimentare che, secondo il Banco Alimentare, è raddoppiata dal 2007 ad oggi, tanto che il 10% dei nostri concittadini non riesce a garantirsi un adeguato apporto proteico ad ogni pasto. Allora, da un lato un iperbolico aumento della spesa in giochi d’azzardo, con una incidenza prevalente degli scommettitori con bassi redditi, dall’altra il problema di cucire il pranzo con la cena per le fasce più esposte all’indigenza della nostra popolazione. Quali sono i costi sociali additivi della denutrizione e della ludopatia, che si manifestano in particolare nelle classi più a rischio di povertà assoluta? Sicuramente molto maggiori dei 10 miliardi di incassi che lo Stato ricava dai giochi d’azzardo.
Non sarebbe allora il caso di invertire la rotta, restringendo e non aumentando la platea delle possibilità di gioco legale, rinunciando alla cassa di oggi per garantire la salute fisica e psicologica a tutti i cittadini domani?