«Il computer al servizio dell'arte, come il pennello per un pittore»
Anna Sanna
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Una scena da uno dei film tratti da «Harry Potter»«Animatti»: ad Alghero arriva Michele Fabbro, il mago degli effetti speciali di Harry Potter
21 settembre 2011
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ALGHERO. Passione, fantasia, creatività. Dietro gli effetti speciali che vediamo al cinema si nasconde una vera e propria arte. Il segreto è l'armonia tra gli elementi per rendere reale qualunque situazione, movimento, creatura la mente possa immaginare. Tra i maghi del cinema c'è anche Michele Fabbro, 37 anni, di Bassano del Grappa, uno degli ideatori degli effetti speciali di Harry Potter. Fabbro sarà l'ospite d'onore questa sera ad «Animatti», la scuola estiva di animazione organizzata dal corso di design della facoltà di Architettura di Alghero. Senior Vfx alla Framestore di Londra, azienda specializzata in effetti speciali, Fabbro ha collaborato a pellicole famose come «Alien Vs Predator» e «Le crociate», fino agli ultimi capitoli della saga del maghetto nato dalla penna di J.K. Rowling: «Harry Potter e i doni della morte Parte I e II».
A quali scene del film hai collaborato?
«Nella prima parte ho curato le evoluzioni di Dobby, l'elfo domestico di Harry. Cinque, sei fotogrammi che sono costati mesi di lavoro, oltre a una piuma in dissolvenza tra film e cartone. Nella seconda parte invece, ho "ucciso" Harry Potter, mezzo secondo di scena in cui viene colpito, e poi il combattimento tra il piccolo mago e un esercito di ragni mostruosi al ser vizio di Voldermort».
Gli spettatori vedono il risultato finale, ma in cosa consiste esattamente il tuo lavoro?
«Mi occupo di effettistica, della simulazione di processi fisici. Muovo tutti gli elementi naturali che devono acquisire movimento in conseguenza dell'animazione. Per ottenere il massimo però la parola chiave è team, squadra, formata da tecnici e artisti.
Ti consideri un artista, non un informatico?
«Assolutamente sì. Il computer è un mezzo, come il pennello per il pittore. Se non c'è creatività la differenza si vede, gli spettatori percepiscono qualcosa di freddo. Quando sono entrato nei laboratori di Animatti ho respirato subito arte. I lavori che stanno realizzando sono bellissimi».
Come ti sei avvicinato a questo mestiere?
«Ho iniziato come geometra in uno studio di architettura della mia città. Poi a Milano ho frequentato un corso di software di animazione 3d organizzato da Microsoft. Era un grosso investimento, ma mio padre mi ha incoraggiato così sono partito».
La svolta per la tua carriera.
«A Milano sono stato selezionato da Media Cube, uno studio di animazione ed effetti speciali, e ho lavorato a fianco di talenti come Tim McGovern, supervisor di «Atto di Forza», primo oscar per gli effetti speciali nella storia del cinema, e Andrew Quinn, supervisor agli effetti di «Matrix».
Poi, per caso, sei arrivato a Londra, alla Framestore.
«Era il 2003. Un amico ha mostrato i miei lavori all'azienda e mi hanno subito chiamato. Ero incredulo, mi rendevo conto che questo avrebbe rappresentato un salto di qualità. Così con mia moglie, che lavora per Cartoon network, abbiamo fatto le valigie e siamo partiti».
In Italia avresti avuto le stesse opportunità?
«Ci sono tanti artisti italiani che non trovano posto o sono pagati pochissimo. E allora vanno negli Usa e in Canada, dove esistono realtà consolidate. Qui sono considerato uno che gioca con il computer, a Londra invece il mio lavoro è rispettato alla pari di quello di un medico o un ingegnere».
A quali scene del film hai collaborato?
«Nella prima parte ho curato le evoluzioni di Dobby, l'elfo domestico di Harry. Cinque, sei fotogrammi che sono costati mesi di lavoro, oltre a una piuma in dissolvenza tra film e cartone. Nella seconda parte invece, ho "ucciso" Harry Potter, mezzo secondo di scena in cui viene colpito, e poi il combattimento tra il piccolo mago e un esercito di ragni mostruosi al ser vizio di Voldermort».
Gli spettatori vedono il risultato finale, ma in cosa consiste esattamente il tuo lavoro?
«Mi occupo di effettistica, della simulazione di processi fisici. Muovo tutti gli elementi naturali che devono acquisire movimento in conseguenza dell'animazione. Per ottenere il massimo però la parola chiave è team, squadra, formata da tecnici e artisti.
Ti consideri un artista, non un informatico?
«Assolutamente sì. Il computer è un mezzo, come il pennello per il pittore. Se non c'è creatività la differenza si vede, gli spettatori percepiscono qualcosa di freddo. Quando sono entrato nei laboratori di Animatti ho respirato subito arte. I lavori che stanno realizzando sono bellissimi».
Come ti sei avvicinato a questo mestiere?
«Ho iniziato come geometra in uno studio di architettura della mia città. Poi a Milano ho frequentato un corso di software di animazione 3d organizzato da Microsoft. Era un grosso investimento, ma mio padre mi ha incoraggiato così sono partito».
La svolta per la tua carriera.
«A Milano sono stato selezionato da Media Cube, uno studio di animazione ed effetti speciali, e ho lavorato a fianco di talenti come Tim McGovern, supervisor di «Atto di Forza», primo oscar per gli effetti speciali nella storia del cinema, e Andrew Quinn, supervisor agli effetti di «Matrix».
Poi, per caso, sei arrivato a Londra, alla Framestore.
«Era il 2003. Un amico ha mostrato i miei lavori all'azienda e mi hanno subito chiamato. Ero incredulo, mi rendevo conto che questo avrebbe rappresentato un salto di qualità. Così con mia moglie, che lavora per Cartoon network, abbiamo fatto le valigie e siamo partiti».
In Italia avresti avuto le stesse opportunità?
«Ci sono tanti artisti italiani che non trovano posto o sono pagati pochissimo. E allora vanno negli Usa e in Canada, dove esistono realtà consolidate. Qui sono considerato uno che gioca con il computer, a Londra invece il mio lavoro è rispettato alla pari di quello di un medico o un ingegnere».