Gli ex soci della Bps in rivolta: tartassate le azioni bloccate
Pier Giorgio Pinna
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La sede della direzione generale della Banca di Sassari (foto Nuvoli)Azionisti in rivolta alla Banca di Sassari. Col decreto Salva Italia i «pacchetti» rimasti a lungo bloccati a causa delle difficoltà di convertirli in denaro cash sono stati assimilati ai conti dormienti
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SASSARI. Azionisti in rivolta alla Banca di Sassari: per oltre 5mila possessori di titoli l'ultima beffa arriva dal governo. Col decreto Salva-Italia i conti dormienti sono stati assimilati ai depositi non movimentati. Cioè a quei «pacchetti» rimasti a lungo bloccati a causa delle difficoltà di convertirli in denaro cash. «Si è creata un'equivalenza che non tiene conto della storia della Popolare e ci obbliga a pagare per il 2012 almeno 34 euro d'imposta di bollo anche su controvalori modesti», spiegano tanti che a suo tempo sottoscrissero le azioni dell'allora Bps. «È un inghippo che nel Paese potrebbe riguardare solo noi e pochi altri», aggiungono.
Per l'esattezza - spiegano alla direzione generale della banca - la questione riguarda 5.308 persone. Le quali, nonostante spesso non siano neppure correntisti, detengono 1 milione e 520mila azioni su un monte complessivo di 62 milioni, il 2,45% del totale. Il che significa pesare per qualcosa come 8 milioni di euro. Ma le cifre non possono che essere indicative e di massima, dato che a fare il prezzo è il mercato, in questo caso ristretto.
La gran parte dei «pacchetti» (precisamente 3.732 posizioni) si attesta tra le 100 e le 500 azioni. Il loro controvalore oggi potrebbe essere spesso di poche centinaia di euro. «Il tributo si può così rivelare un onere del 10-15% annuale sul capitale, mai rivalutato a sufficienza rispetto all'investimento iniziale», concludono non senza amarezza azionisti che nelle ultime settimane hanno ricevuto la comunicazione con tutte le spiegazioni da parte della banca.
«Ma in questo caso veniamo chiamati in causa semplicemente come sostituti d'imposta, facciamo da intermediari-esattori per conto dello Stato», tengono a rimarcare nell'istituto per evidenziare le differenti responsabilità.
«È una faccenda che ci dispiace davvero: insieme con le associazioni bancarie che rappresentano le popolari saremmo perciò favorevoli a un mutamento della normativa - osserva il direttore generale della Banca di Sassari, Paolo Gianni Porcu - Ma purtroppo, per il momento, non possiamo far nulla: la vecchia Bps in passato è stata commissariata, incamerata dal Banco di Sardegna, e in quanto tale non esiste più».
«Tuttavia, da quanto il controllo è passato alla Bper, la nostra banca ha creato diverse occasioni per consentire la vendita di azioni - prosegue - La prima Opa, Offerta pubblica d'acquisto, risale al 2004, e in quella circostanza molti hanno ceduto le loro azioni. Da allora al 2011, inoltre, l'istituto ha sempre accettato di comprare da chi voleva venderle. A novembre scorso, poi, è stata predisposta, sempre a cura della Bper, una Offerta pubblica di scambio sulla base di un controvalore pari a 4,25 euro per azione. Insomma, qui ora si parla del residuo del residuo». «Quei cinquemila e più che sono chiamati a pagare l'imposta di bollo non hanno mai movimentato i depositi perché non hanno voluto o potuto cedere le azioni», osserva Paolo Gianni Porcu.
«E adesso noi, per sei mesi da quando si è tenuta la "Ops", dobbiamo osservare disposizioni che ci vietano l'acquisto», conclude il direttore generale con sincero rammarico.
In effetti la Bper si è trovata a gestire le conseguenze di un'eredità pesante. Eredità nata a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, quando migliaia di clienti dell'allora Bps, sono stati invitati a un azionariato diffuso su tutto il territorio sardo in cambio di agevolazioni come il bancomat o interessi vantaggiosi sui conti. È venuta a determinarsi in questo modo una situazione che non ha corrispettivi in altri istituti di credito, con un esercito di azionisti che hanno faticato a cedere titoli dal valore ridotto rispetto al capitale versato o invece, come per gli oltre 5mila «depositi dormienti», hanno preferito non venderli. Tutto mentre la magistratura metteva sotto inchiesta i vecchi vertici della Bps.
«La mia opinione è che questo sia l'ennesimo balzello imposto a tanti malcapitati che si troveranno a versare somme largamente superiori ai dividendi», afferma a nome dell'Adusbef il presidente regionale, l'avvocato Andrea Sorgentone. «Con l'aggravante che in passato furono caldamente invitati a sottoscrivere le azioni», aggiunge. «Ecco perché - sostiene il legale - la banca dovrebbe ricomprarle al più presto dimostrando che hanno un valore: altrimenti sarà evidente l'ennesimo schiaffo che gli azionisti saranno costretti a subire».
In questo quadro non confortante c'è una nota dolente persino peggiore. Come avvertono da tempo i funzionari di tutti gli istituti di credito, il regolamento del ministero dell'Economia del giugno 2007 contiene un'altra insidia. I conti e i depositi non movimentati da 10 anni, in assenza di notizie da parte degli interessati sulle loro intenzioni, potrebbero essere fatti confluire su un fondo particolare istituito dallo Stato nel 2005. «I titolari hanno quindi 180 giorni di tempo dall'avviso per presentarsi nelle nostre filiali ed evitare l'estinzione del rapporto», fanno sapere a tutti i responsabili della Banca di Sassari che seguono l'ormai delicatissima partita.
Per l'esattezza - spiegano alla direzione generale della banca - la questione riguarda 5.308 persone. Le quali, nonostante spesso non siano neppure correntisti, detengono 1 milione e 520mila azioni su un monte complessivo di 62 milioni, il 2,45% del totale. Il che significa pesare per qualcosa come 8 milioni di euro. Ma le cifre non possono che essere indicative e di massima, dato che a fare il prezzo è il mercato, in questo caso ristretto.
La gran parte dei «pacchetti» (precisamente 3.732 posizioni) si attesta tra le 100 e le 500 azioni. Il loro controvalore oggi potrebbe essere spesso di poche centinaia di euro. «Il tributo si può così rivelare un onere del 10-15% annuale sul capitale, mai rivalutato a sufficienza rispetto all'investimento iniziale», concludono non senza amarezza azionisti che nelle ultime settimane hanno ricevuto la comunicazione con tutte le spiegazioni da parte della banca.
«Ma in questo caso veniamo chiamati in causa semplicemente come sostituti d'imposta, facciamo da intermediari-esattori per conto dello Stato», tengono a rimarcare nell'istituto per evidenziare le differenti responsabilità.
«È una faccenda che ci dispiace davvero: insieme con le associazioni bancarie che rappresentano le popolari saremmo perciò favorevoli a un mutamento della normativa - osserva il direttore generale della Banca di Sassari, Paolo Gianni Porcu - Ma purtroppo, per il momento, non possiamo far nulla: la vecchia Bps in passato è stata commissariata, incamerata dal Banco di Sardegna, e in quanto tale non esiste più».
«Tuttavia, da quanto il controllo è passato alla Bper, la nostra banca ha creato diverse occasioni per consentire la vendita di azioni - prosegue - La prima Opa, Offerta pubblica d'acquisto, risale al 2004, e in quella circostanza molti hanno ceduto le loro azioni. Da allora al 2011, inoltre, l'istituto ha sempre accettato di comprare da chi voleva venderle. A novembre scorso, poi, è stata predisposta, sempre a cura della Bper, una Offerta pubblica di scambio sulla base di un controvalore pari a 4,25 euro per azione. Insomma, qui ora si parla del residuo del residuo». «Quei cinquemila e più che sono chiamati a pagare l'imposta di bollo non hanno mai movimentato i depositi perché non hanno voluto o potuto cedere le azioni», osserva Paolo Gianni Porcu.
«E adesso noi, per sei mesi da quando si è tenuta la "Ops", dobbiamo osservare disposizioni che ci vietano l'acquisto», conclude il direttore generale con sincero rammarico.
In effetti la Bper si è trovata a gestire le conseguenze di un'eredità pesante. Eredità nata a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, quando migliaia di clienti dell'allora Bps, sono stati invitati a un azionariato diffuso su tutto il territorio sardo in cambio di agevolazioni come il bancomat o interessi vantaggiosi sui conti. È venuta a determinarsi in questo modo una situazione che non ha corrispettivi in altri istituti di credito, con un esercito di azionisti che hanno faticato a cedere titoli dal valore ridotto rispetto al capitale versato o invece, come per gli oltre 5mila «depositi dormienti», hanno preferito non venderli. Tutto mentre la magistratura metteva sotto inchiesta i vecchi vertici della Bps.
«La mia opinione è che questo sia l'ennesimo balzello imposto a tanti malcapitati che si troveranno a versare somme largamente superiori ai dividendi», afferma a nome dell'Adusbef il presidente regionale, l'avvocato Andrea Sorgentone. «Con l'aggravante che in passato furono caldamente invitati a sottoscrivere le azioni», aggiunge. «Ecco perché - sostiene il legale - la banca dovrebbe ricomprarle al più presto dimostrando che hanno un valore: altrimenti sarà evidente l'ennesimo schiaffo che gli azionisti saranno costretti a subire».
In questo quadro non confortante c'è una nota dolente persino peggiore. Come avvertono da tempo i funzionari di tutti gli istituti di credito, il regolamento del ministero dell'Economia del giugno 2007 contiene un'altra insidia. I conti e i depositi non movimentati da 10 anni, in assenza di notizie da parte degli interessati sulle loro intenzioni, potrebbero essere fatti confluire su un fondo particolare istituito dallo Stato nel 2005. «I titolari hanno quindi 180 giorni di tempo dall'avviso per presentarsi nelle nostre filiali ed evitare l'estinzione del rapporto», fanno sapere a tutti i responsabili della Banca di Sassari che seguono l'ormai delicatissima partita.
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