La Nuova Sardegna

Una sarda ha difeso il maggiordomo del Papa

di Chiaramaria Pinna
Una sarda ha difeso il maggiordomo del Papa

Parla l’avvocato Cristiana Arru, originaria di Banari, alla ribalta della cronaca dopo essere stata il legale di Paolo Gabriele nel processo in Vaticano

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SASSARI. Non ama i riflettori, le interviste e le dichiarazioni che rilascia sono scarne, equilibrate, ponderate. Quando parla non si compiace e tantomeno si incensa. E’ Cristiana Arru, classe 1973, viso aperto, sguardo rassicurante sotto un caschetto biondo, voce decisa. E’ l’avvocato che ha difeso Paolo Gabriele, l’ex maggiordomo infedele del Papa, che due giorni fa ha commentato la sentenza del tribunale vaticano con una parola: «equilibrata». E’ la donna di 39 anni del momento. Più di una collega venderebbe l’anima al diavolo per essere al suo posto sui giornali e nei salotti tv, invece lei non si scompone, anzi, proprio non le interessano e dribbla garbatamente.

Avvocato, appena abbiamo letto il suo cognome è scattata la ricerca negli studi legali di mezza Sardegna per poi scoprire che dietro quella “u” non c’è una figlia d’arte ma un’outsider e che le sue origini bisogna cercarle a Banari.

«E’ vero, ho fatto tutto da sola: a 22 anni la laurea alla Sapienza. Ma all’inizio non pensavo che avrei scelto di fare l’avvocato. La storia del diritto canonico mi aveva affascinato tanto che ho cercato gli atti del Concilio Vaticano Secondo che mette al centro l’uomo. E’ una lettura particolarmente interessante, e così ho deciso di frequentare la Pontificia università dove ho conseguito il dottorato in Diritto canonico. Ecco, questo è il percorso che mi permette di esercitare la professione di avvocato nel mondo rotale e nello Stato italiano».

Come è nata la nomina da parte di Paolo Gabriele?

«E’ stato l’avvocato Carlo Fusco a chiedermi di coadiuvarlo, poi lui ha lasciato l’incarico e io ho deciso di portarlo avanti ma non senza averci riflettuto a lungo, e solo dopo averne parlato con il mio padre spirituale che ora si trova a Cagliari. Ero rimasta l’unico avvocato di fiducia di Gabriele. La mia guida mi ha incoraggiato dicendomi che dovevo difendere l’uomo, non l’imputato, e che questo era il volere di Dio. “Sei qui al servizio della verità della Chiesa, al servizio di un uomo”, ha detto, e così sono andata avanti».

La sua famiglia che ruolo ha avuto?

«E’ stato importante sentire vicini mio marito e i miei due figli. Mio marito mi ha sostenuto e incoraggiato, e così i genitori e i parenti della Sardegna, che appena hanno saputo la notizia mi hanno chiamato per complimentarsi. Ma sia chiaro: data la delicatezza della causa, non ho parlato con nessuno del processo e non intendo farlo nemmeno in futuro. E comunque non l’ho mai fatto».

E allora parliamo un pochino di lei, solo un cenno al suo carattere. La domanda è d’obbligo: crede di avere nel Dna qualche traccia di Sardegna... o sono solo stereotipi?

«Altroché stereotipi. Certi valori derivano proprio dalla mia terra: la determinazione, il profondo senso della dignità, il bisogno di chiarezza sempre e comunque senza compromessi. E poi credo fermamente nella famiglia, per me è stata sempre importante. Senza non sarei riuscita a raggiungere nessuno dei traguardi».

La scala delle sue priorità

«La mia vita, gli affetti. Se vuol sapere in che posizione è il lavoro, bene, si sappia che le cause vengono dopo».

Il legame di sangue è tanto importante anche con i parenti meno vicini, quelli che vivono a Sassari.

«Sì, molto, e ci vediamo sempre volentieri. L’ultima volta è stato l’anno scorso, questa estate ovviamente è stato impossibile..»

Il suo nonno paterno è entrato nella storia

«Certo, stava con Gugliermo Marconi sulla Elettra, e Marconi l’ha voluto come direttore tecnico quando fu costruita la Radio Vaticana. Mio nonno ha partecipato a tutti gli esperimenti di Marconi. E in Città del Vaticano la mia famiglia ha vissuto fino al 1969 dove mio padre è stato un funzionario del Fondo assistenza sanitaria. Quando io sono nata la famiglia viveva già a Roma».

Ritorniamo all’attualità: sinceramente, pensa che questo caso giudiziario che ha fatto il giro del mondo possa dare una svolta al suo lavoro?

«Di una cosa sono certa: non cambierà me. Il mio futuro è nelle mani di Dio. Vede, io ho una grande fede, senza fede non potrei vivere. So che è difficile capirlo, ma è un dono che Dio mi ha dato, è un dono prezioso. All’inizio dell’intervista le ho detto che non voglio riflettori. Sa perché parlo con lei? Perché sono certa che i miei parenti, a Sassari, saranno contenti e la commenteremo al telefono. Tutto qui».

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