La Nuova Sardegna

Così gli architetti del Re ridisegnarono la Sardegna

di Antonello Mattone
Così gli architetti del Re ridisegnarono la Sardegna

Documenti inediti raccolti nel libro di Annalisa Poli e di Sandro Roggio

30 gennaio 2013
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di Antonello Mattone

Una delle caratteristiche salienti dello Stato moderno è stata la conoscenza del territorio volta alle esigenze militari, alle ripartizioni fiscali e alla viabilità. Già all'indomani dell'atto di cessione del Regno di Sardegna ai Savoia (1720), l'ingegnere piemontese Felice De Vincenti percorreva i litorali dell'isola per verificare lo stato delle torri costiere e per tracciare su basi largamente empiriche la prima carta geografica della Sardegna del periodo sabaudo.

Il governo di Torino era modellato sulle istituzioni francesi dell'età dell'assolutismo e assegnava, di conseguenza, un ruolo assai rilevante al corpo degli architetti e degli ingegneri, cui era demandato il compito di progettare fortificazioni, edifici civili ed ecclesiastici, strade e ponti, bonifiche dei terreni paludosi. Ad essi è dedicato ora il volume di Annalisa Poli e Sandro Roggio, “Gli architetti del re in Sardegna. Iconografie fra Sette e Ottocento” (Sassari, Agave edizioni, 2076 pagine). Si tratta di un'opera, di bella veste editoriale, riccamente illustrata con mappe, progetti, carte geografiche, vedute, costumi, in gran parte inediti tratti da archivi pubblici e privati, sardi e torinesi, che documentano l'opera degli architetti piemontesi tra gli anni del riformismo boginiano e il governo di Carlo Felice, cioè dagli anni Sessanta del Settecento alla fine degli anni Venti dell’Ottocento.

Si può dire che durante il governo del conte Bogino sia nata in Sardegna una prima forma embrionale di urbanistica: infatti l'architetto Saverio Belgrano di Famolasco nel costruire il nuovo palazzo dell'Università "riformata" cagliaritana, nel bastione del Balice (inaugurata nel 1764), edificò anche il nuovo Teatro Civico e il Seminario tridentino in un disegno che oggi si potrebbe definire quasi come una sorta di "cittadella della cultura".

Gli autori dedicano ampio spazio a due figure di tecnici che hanno inciso profondamente nelle vicende della Sardegna del primo Ottocento: Giovanni Antonio Carbonazzi e Giuseppe Cominotti.

La fama del primo è legata al progetto ciclopico della realizzazione della "Strada Reale", la cosiddetta "Carlo Felice". Fu necessario superare difficoltà apparentemente insormontabili, come l'ostilità delle popolazioni locali, gli influssi mortiferi delle regioni malariche, la mancanza di ponti sui corsi d'acqua, i dislivelli tra le pianure e le montagne. La Scala di Ciocca con i suoi tornanti, presso la città di Sassari, è l'espressione più significativa del genio ingegneristico di Carbonazzi.

La venuta in Sardegna di Cominotti è legata anch'essa alle grandi operazioni stradali di collegamento della capitale del Regno con il porto di Torres. A differenza del suo collega, Cominotti però rivela ben presto una vocazione poliedrica, non soltanto come architetto, ma anche come brillante disegnatore ed autore di acquarelli di paesaggi e di costumi dell'isola, come quelli assai gustosi della “Raccolta di trenta costumi sardi” particolarmente di Sassari (1825-26), diffusi anni fa in allegato a La Nuova, dove viene acutamente colto lo spir. ito della città. Determinante fu l'incontro con Alberto Ferrero della Marmora, allora in punizione in Sardegna per i suoi trascorsi napoleonici, e impegnato nella realizzazione della prima carta geodetica dell'isola. Il “Voyage” del generale, pubblicato a Parigi nel 1826, fu corredato dalle bellissime planches acquerellate di Cominotti raffiguranti i "vestimenti", scene di feste campestri, di nozze, di danze, di processioni e della attitu gallurese. A Cominotti si devono alcuni importanti progetti come quello del Palazzo Civico di Sassari, con l'annesso teatro i cui lavori furono appaltati nel 1826. Poli e Roggio pubblicano i manoscritti originali di Cominotti, reperiti nell'Archivo di Stato di Torino, che dimostrano come la realizzazione del complesso fu conforme al progetto originale.

In conclusione, l'opera di Poli e Roggio, pur inserendosi in un tradizione di studi (ad esempio Rattu e Mossa), si caratterizza per un'ampia ricognizione delle carte archivistiche sarde e torinesi che ci danno un quadro innovativo ed esaustivo della storia dell'architettura e dell'urbanistica nella Sardegna del Sette-Ottocento.

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