La Nuova Sardegna

Sassari, una via crucis di lotta: il dramma di chi perde il posto

di Luigi Soriga
Sassari, una via crucis di lotta: il dramma di chi perde il posto

La protesta degli addetti della Multiss sul tetto della Provincia: uno si sente male, soccorso dai vigili. Benedizione del vescovo e tanta solidarietà. L’odissea del caseario che s’incatena: «Ho perso tutto»
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SASSARI. La prima notte sul tetto ha lasciato i segni. La schiena a gradini, le vertebre che ricalcano gli arzigogoli delle tegole. E poi il maestrale, che quando cala il sole fa venire la pelle d’oca. Erano saliti lunedì, dopo un incontro in Provincia che si è concluso gelido come una sentenza. Le casse degli enti locali sono esangui, mancano 4 milioni e 200mila euro di trasferimenti regionali, non ci sono i soldi per pagare i servizi, la società in house che li svolgeva si ritrova senza mansioni, e tutti i dipendenti, per effetto domino, senza un lavoro. In 168 si sono riscoperti inutili, e d’improvviso è crollato il terreno da sotto i piedi. Così cinque di loro si sono guardati in faccia e, invece di sprofondare, hanno deciso di innalzare il livello della protesta, osservando la città e la politica per una volta dall’alto al basso. Hanno fatto di corsa tre rampe di scale, si sono infilati dentro un lucernaio, e sono sbucati sul tetto di Palazzo Sciuti. Così, in magliettina a maniche corte, con la notte e il maestrale pronti a dargli il benvenuto. Uno di loro, Massimiliano Ledda, 43 anni, portotorrese, è cardiopatico. Prende tre pastiglie al giorno e quell’albergo a tutte stelle non è molto indicato. Regge la prima sera, con due ore di sonno e senza medicine, supera la seconda, con il confort di un sacco a pelo, ma l’indomani il cuore gli sussurra qualcosa. Ha due mancamenti, e anche i compagni gli ricordano che sì, il lavoro è importante, ma la vita resta una sola. Ieri, all’ora di pranzo, i vigili del fuoco lo hanno imbragato, lo hanno issato con un’autoscala, lo hanno fatto dondolare per qualche minuto a mollo negli applausi per poi adagiarlo in piazza d’Italia. «Sono stato costretto a scendere – dice Massimiliano – ma appena esco dall’ospedale, sarò nuovamente a fianco dei miei compagni a riprendere la lotta».

Sotto l’ombra di Vittorio Emanuele II ci sono una settantina di lavoratori della Multiss, che fanno un tifo da stadio per i loro cinque, (ora quattro)paladini. Il futuro di tutti è appeso trenta metri più in su, sopra un cornicione dove Pierfranco Piredda, 45 anni, 17 dei quali trascorsi alla Multiss, fa ciondolare una gamba. E’ seduto e chiacchiera con gli altri amici di sventura, in attesa che il mondo si faccia sentire attraverso il display del suo cellulare. «Aspettiamo notizie da Cagliari. L'assessore regionale agli Enti locali Erriu, ha invitato a mezzogiorno la presidente della Provincia di Sassari Alessandra Giudici per discutere i problemi di bilancio della Provincia e per cercare insieme una soluzione per la Multiss. Noi finché non abbiamo un impegno scritto da parte della politica, non ci muoviamo da qui».

Calano giù una corda, e quando recuperano, la pesca non è mai infruttuosa. Panini, acqua, e ogni tanto qualche bella sorpresa. «La proprietaria di un bar ha preso a cuore la nostra protesta e ci ha fatto avere un vassoio di croissant caldi. Un’impiegata di banca ci ha mandato dei caffè, e poi ci sono i vigili del fuoco, i poliziotti, e gli agenti della Digos che ci infondono coraggio. Insomma, non ci sentiamo così soli». C’è anche la solidarietà delle istituzioni, ieri ha dato la benedizione l’arcivescovo Atzei, i sindacati sono dalla loro e anche il prefetto ha espresso sostegno. Eppure molti li guardano con pregiudizio,e su Facebook sputano giudizi impietosi: «Scansafatiche, parassiti, privilegiati, in una ditta privata vi avrebbero licenziato da tempo, e via così». Luca Balloco, 41 anni, 12 anni in Multiss; Massimo Barra, 47 anni, 17 in Multiss; e Pier Paolo Murittu, 53 anni, 12 in Multiss, fanno spallucce. «La gente pensa che le società pubbliche non producano, che siano zavorre. Ma io sfido chiunque a guardare i nostri bilanci: in 17 anni sempre in attivo, offrendo un servizio puntuale ed efficiente. Chiedetelo agli studenti, che da quando ci siamo noi non hanno fatto un giorno di sciopero. Loro sì che hanno ragione di odiarci». E ancora: «Noi privilegiati? Ma non scherziamo: percepiamo stipendi medi da 1000 euro, per 40 ore settimanali, con contratti privatistici, come i dipendenti di Auchan. Siamo già passati per i contratti di solidarietà, per evitare i licenziamenti. Siamo operai specializzati, periti elettronici, manutentori con esperienza. Ma sappiamo anche che laggiù non c’è un altro lavoro che ci aspetta, e quello che abbiamo lo difendiamo con i denti».

Invece Massimo Bo ha già perso tutto. Era un affermato imprenditore caseario ridotto sul lastrico dopo un’incredibile odissea giudiziaria. Per questo poche centinaia di metri più in là in via Roma, che ormai è la via Crucis dei lavoratori, si è incatenato tre giorni fa ai cancelli del tribunale. Fa lo sciopero della fame e della sete, trascorre la notte sui gradini. Anche lui lancia il suo Sos, in solitaria, attraverso dei cartelli e uno sguardo carico di dignità. In lontananza sente gli echi dei degli operai Multiss. Loro sono in cima al baratro e si sporgono nel vuoto, lui c’è già precipitato.

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