La Berardi al sindaco di Nuoro: «Dedichi una piazza ai rapiti mai tornati»
di Paolo Merlini
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Cristina Berardi poche ore dopo la liberazioneLa sorella dell’ex sequestrata si è rivolta ad Andrea Soddu: neanche una lapide ricorda le vittime di quel periodo buio
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NUORO. Venivano chiamati “sequestrati mai tornati a casa”, con una consuetudine non solo giornalistica che forse voleva essere un gesto di pudore nei confronti di coloro che “a casa” avevano atteso, invano e per un tempo infinito, di riabbracciare i propri cari, cioè i familiari dei rapiti uccisi o morti di stenti durante la prigionia. Nella lunga casistica dei sequestri di persona, la pagina più triste della storia recente della Sardegna per fortuna relegata al passato, sono tanti gli ostaggi assassinati durante il rapimento: trentuno soltanto dal 1960 a oggi.
Eppure non esiste una strada, una via o una piazza in tutta la Sardegna che ricordi queste vittime innocenti di un fenomeno che ha tenuto sotto scacco un’isola e la sua gente per decenni. Innocenti e dimenticate, come ha scritto ieri in un post nella sua pagina Facebook Alessandra Berardi, poetessa e scrittrice, sorella di Cristina, rapita il 20 giugno di trent’anni fa e liberata quattro mesi dopo. «Dovremmo ricordare ad alta voce quelle stagioni efferate, quel mezzo secolo crudele che ha sparso lacrime, sangue e fango per la nostra terra bellissima. Ricordiamo, raccontiamo, intitoliamo strade, incidiamo lapidi, e pronunciamo i nomi delle vittime dimenticate», dice Alessandra Berardi, che ricorda quei drammatici giorni del 1987.
«Hanno preso Cristina». «La voce strozzata di mia madre, al telefono, che diceva qualcosa di assurdo: “Hanno preso Cristina”. E io che non capivo, mi rifiutavo di capire». Comincia così il suo racconto. «Stamattina, trent’anni esatti dal sequestro di nostra sorella Cristina, tenuta dai banditi per quattro mesi tra le forre dell’Ogliastra, liberata dall’eroica Squadra Catturandi della Polizia di Nuoro. Sequestro seguito da attentati e da altre disgrazie e paure e malattie per la mia famiglia, e ovviamente dai segni di quell’esperienza per Cristina. Dei colpevoli – denuncia Alessandra Berardi – solo il telefonista fu catturato e ha scontato la pena. (...) L'ideatore e basista-colletto-bianco e i latitanti – sua manovalanza criminale – individuati, anche grazie alla perspicacia e alla tenacia di nostro padre: ma nulla di fatto a loro carico, per mancanza di prove, tanti anni dopo».
«Non una lapide». «Resta la felicità che lei sia tornata, e che tante persone buone ci siano state vicine. Molti sequestrati non sono tornati mai, altri sono ritornati in condizioni terribili», continua Alessandra Berardi, che vive a Bologna mentre la sorella Cristina ha continuato ad abitare e insegnare in Sardegna, a Nuoro. E poi l’amara constatazione che le vittime di quel fenomeno che ha segnato la vita di tantissime persone («i sequestrati, le loro famiglie, le comunità») siano state dimenticate: «in Sardegna, neanche una strada intitolata alle "Vittime dei sequestri di persona". Non una lapide con i nomi delle persone sequestrate e mai ritornate, morte per gli stenti o uccise durante la prigionia».
Le parole di Alessandra Berardi hanno raccolto molti consensi sui social network, il suo post è stato condiviso più volte su Facebook. Insieme con l’appello al sindaco di Nuoro Andrea Soddu, al quale la sorella di Cristina Berardi ha inviato anche una lettera privata. Soddu ha accolto la proposta e rilancia con l’idea di un monumento, «non solo ai sequestrati non tornati a casa, ma a tutte le vittime di una tragedia che ha segnato la nostra terra, e va ricordata perché è grazie alla memoria che possiamo costruire meglio il nostro futuro».
Eppure non esiste una strada, una via o una piazza in tutta la Sardegna che ricordi queste vittime innocenti di un fenomeno che ha tenuto sotto scacco un’isola e la sua gente per decenni. Innocenti e dimenticate, come ha scritto ieri in un post nella sua pagina Facebook Alessandra Berardi, poetessa e scrittrice, sorella di Cristina, rapita il 20 giugno di trent’anni fa e liberata quattro mesi dopo. «Dovremmo ricordare ad alta voce quelle stagioni efferate, quel mezzo secolo crudele che ha sparso lacrime, sangue e fango per la nostra terra bellissima. Ricordiamo, raccontiamo, intitoliamo strade, incidiamo lapidi, e pronunciamo i nomi delle vittime dimenticate», dice Alessandra Berardi, che ricorda quei drammatici giorni del 1987.
«Hanno preso Cristina». «La voce strozzata di mia madre, al telefono, che diceva qualcosa di assurdo: “Hanno preso Cristina”. E io che non capivo, mi rifiutavo di capire». Comincia così il suo racconto. «Stamattina, trent’anni esatti dal sequestro di nostra sorella Cristina, tenuta dai banditi per quattro mesi tra le forre dell’Ogliastra, liberata dall’eroica Squadra Catturandi della Polizia di Nuoro. Sequestro seguito da attentati e da altre disgrazie e paure e malattie per la mia famiglia, e ovviamente dai segni di quell’esperienza per Cristina. Dei colpevoli – denuncia Alessandra Berardi – solo il telefonista fu catturato e ha scontato la pena. (...) L'ideatore e basista-colletto-bianco e i latitanti – sua manovalanza criminale – individuati, anche grazie alla perspicacia e alla tenacia di nostro padre: ma nulla di fatto a loro carico, per mancanza di prove, tanti anni dopo».
«Non una lapide». «Resta la felicità che lei sia tornata, e che tante persone buone ci siano state vicine. Molti sequestrati non sono tornati mai, altri sono ritornati in condizioni terribili», continua Alessandra Berardi, che vive a Bologna mentre la sorella Cristina ha continuato ad abitare e insegnare in Sardegna, a Nuoro. E poi l’amara constatazione che le vittime di quel fenomeno che ha segnato la vita di tantissime persone («i sequestrati, le loro famiglie, le comunità») siano state dimenticate: «in Sardegna, neanche una strada intitolata alle "Vittime dei sequestri di persona". Non una lapide con i nomi delle persone sequestrate e mai ritornate, morte per gli stenti o uccise durante la prigionia».
Le parole di Alessandra Berardi hanno raccolto molti consensi sui social network, il suo post è stato condiviso più volte su Facebook. Insieme con l’appello al sindaco di Nuoro Andrea Soddu, al quale la sorella di Cristina Berardi ha inviato anche una lettera privata. Soddu ha accolto la proposta e rilancia con l’idea di un monumento, «non solo ai sequestrati non tornati a casa, ma a tutte le vittime di una tragedia che ha segnato la nostra terra, e va ricordata perché è grazie alla memoria che possiamo costruire meglio il nostro futuro».