«Vie ferrate pericolose» Scattano due inchieste
di Gian Mario Sias
Le guide alpine bocciano le pareti per l’arrampicata di Capo Caccia e Cargeghe «Costruite fuori norma, con ancoraggi corrosi e malsicuri». Altre aree nel mirino
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ALGHERO. «Le ferrate del Cabiròl e del Giorré sono realizzate senza rispettare le norme, senza garanzie di resistenza dei materiali, con ancoraggi corrosi e infissi in modo inappropriato, senza garantire la sicurezza, in una struttura rocciosa con evidenti segni di fratturazioni e instabilità superficiali, ma probabilmente anche in profondità, in un’area che per il Piano di assetto idrogeologico della Regione è a rischio frana molto elevato».
Lo dice la relazione stilata dalla Commissione abusivismo del Conagai, il Collegio nazionale delle guide alpine italiane, in base alla perizia dei propri incaricati sulla via ferrata del Cabiròl di Capo Caccia, ad Alghero, e sulla via ferrata di Giorré, a Cargeghe. E se per il Cabiròl «non risulta alcuna autorizzazione alla posa in opera», il Giorré «risulta commissionato dal Comune di Cargeghe con fondi pubblici e il progettista-costruttore non ha i requisiti per la progettazione e la posa in opera». Sulla base di queste motivazioni la Procura di Sassari ha aperto l’inchiesta sollecitata dalla guardia di finanza di Sassari, cui si era rivolto il Conagai, ente di diritto pubblico non economico e organo giuridico di coordinamento dei collegi regionali delle guide alpine.
La chiusura della via ferrata del Cabiròl, decisa dal sindaco di Alghero Mario Bruno, porta alla luce il clamoroso sviluppo di una vicenda che consentirà di fare chiarezza sulla situazione delle circa 25 vie ferrate presenti nell’isola. La perizia dello scorso dicembre, che ha dato il via da un lato all’inchiesta della Procura e delle fiamme gialle di Sassari e dall’altro alle interlocuzioni tra Regione e Comuni di Cargeghe e Alghero, ha sortito il primo effetto: l’interdizione all’accesso sul Cabiròl. Ma soprattutto ha smosso le acque, e ora le inchieste sembrano destinate a moltiplicarsi.
«Nei giorni scorsi ci ha contattato il Tribunale di Lanusei per una perizia su una struttura ricadente nel territorio di sua competenza», conferma Stefano Michelazzi, guida alpina, consigliere del Conagai e responsabile della Commissione abusivismo. «Le guide alpine non hanno alcuni interesse a far chiudere una ferrata né ambiscono a poter decidere chi le deve gestire, semplicemente vogliamo che le cose siano fatte in un certo modo, è il nostro dovere ma ce lo impone anche la nostra coscienza», spiega.
Gli esposti del Conagai, che in questa vicenda è stato espressamente sollecitato dal Gruppo di intervento giuridico e da Mountain Wilderness e si è relazionato con Prefettura di Sassari, Procura di Sassari e guardia di finanza di Sassari, «riguarda anche l’esercizio abusivo della professione di guida alpina a opera di sedicenti esperti», annuncia il consigliere. Perché va bene lo sviluppo del turismo attivo e il moltiplicarsi di appassionati e luoghi in cui praticare determinate attività, ma senza esagerare. «In Sardegna ci sono circa 25 vie ferrate – segnala Michelazzi – sono tante quante quelle di tutte le Dolomiti, è davvero un numero esorbitante».
Lo dice la relazione stilata dalla Commissione abusivismo del Conagai, il Collegio nazionale delle guide alpine italiane, in base alla perizia dei propri incaricati sulla via ferrata del Cabiròl di Capo Caccia, ad Alghero, e sulla via ferrata di Giorré, a Cargeghe. E se per il Cabiròl «non risulta alcuna autorizzazione alla posa in opera», il Giorré «risulta commissionato dal Comune di Cargeghe con fondi pubblici e il progettista-costruttore non ha i requisiti per la progettazione e la posa in opera». Sulla base di queste motivazioni la Procura di Sassari ha aperto l’inchiesta sollecitata dalla guardia di finanza di Sassari, cui si era rivolto il Conagai, ente di diritto pubblico non economico e organo giuridico di coordinamento dei collegi regionali delle guide alpine.
La chiusura della via ferrata del Cabiròl, decisa dal sindaco di Alghero Mario Bruno, porta alla luce il clamoroso sviluppo di una vicenda che consentirà di fare chiarezza sulla situazione delle circa 25 vie ferrate presenti nell’isola. La perizia dello scorso dicembre, che ha dato il via da un lato all’inchiesta della Procura e delle fiamme gialle di Sassari e dall’altro alle interlocuzioni tra Regione e Comuni di Cargeghe e Alghero, ha sortito il primo effetto: l’interdizione all’accesso sul Cabiròl. Ma soprattutto ha smosso le acque, e ora le inchieste sembrano destinate a moltiplicarsi.
«Nei giorni scorsi ci ha contattato il Tribunale di Lanusei per una perizia su una struttura ricadente nel territorio di sua competenza», conferma Stefano Michelazzi, guida alpina, consigliere del Conagai e responsabile della Commissione abusivismo. «Le guide alpine non hanno alcuni interesse a far chiudere una ferrata né ambiscono a poter decidere chi le deve gestire, semplicemente vogliamo che le cose siano fatte in un certo modo, è il nostro dovere ma ce lo impone anche la nostra coscienza», spiega.
Gli esposti del Conagai, che in questa vicenda è stato espressamente sollecitato dal Gruppo di intervento giuridico e da Mountain Wilderness e si è relazionato con Prefettura di Sassari, Procura di Sassari e guardia di finanza di Sassari, «riguarda anche l’esercizio abusivo della professione di guida alpina a opera di sedicenti esperti», annuncia il consigliere. Perché va bene lo sviluppo del turismo attivo e il moltiplicarsi di appassionati e luoghi in cui praticare determinate attività, ma senza esagerare. «In Sardegna ci sono circa 25 vie ferrate – segnala Michelazzi – sono tante quante quelle di tutte le Dolomiti, è davvero un numero esorbitante».