La Nuova Sardegna

L'accordo Ceta va sorvegliato, non demonizzato

Mario Alberto Delogu
Luigi Di Maio
Luigi Di Maio

Giuste le riserve su salute, ambiente e occupazione, ma attaccarlo perché abbassa le barriere invece di alzarle è una posizione sterile e regressiva

21 luglio 2018
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Il vice primo ministro Luigi di Maio spara a zero contro il Ceta, l'accordo economico tra il Canada e l'Unione Europea, e promette epurazioni tra i funzionari che lo difenderanno. Non avrà bisogno di cercare troppo lontano: il suo collega all'economia Giovanni Tria ha già avvisato che il commercio mondiale è cosa buona e giusta mentre le barriere sono cosa cattiva. Affermazione lapalissiana ma che ultimamente al mondo sembra avere più nemici che amici, a cominciare dal presidente Usa Donald Trump che capeggia le armate mondiali del protezionismo e del ritorno all'epoca dei muri. Chi ha ragione?

È il Ceta per davvero il grimaldello delle avide multinazionali nordamericane, porta d'ingresso degli OGM e delle lobby che corroderanno il potere degli stati sovrani? La temuta perdita di sovranità è uno dei cardini dell'opposizione al trattato. Lo stesso Di Maio rivendica il rifiuto dell'accordo come un atto di "sano sovranismo". Si tratta di paure giustificate? In parte sì - il Ceta ha tra i suoi sostenitori le maggiori imprese mondiali sulle due sponde dell'oceano nei settori minerario, gas e petrolio, energia, agrochimica, informatica, aeronautica e nuove tecnologie, e nessuna di queste fa mistero di preferire un ambiente economico meno regolato, più privatizzazioni di servizi pubblici e meno strettoie per i movimenti di capitali e merci - e in parte no - l'Italia è in questo momento in posizione competitiva migliore, i primi mesi di adozione provvisoria hanno visto le esportazioni italiane verso il paese della foglia d'acero crescere rapidamente, e le barriere che il Canada dovrà abbassare saranno molte più di quelle di parte italiana.

A riprova dell'equilibrio sostanziale di questo accordo, anche in Canada è ben attivo un movimento d'opinione che chiede la rinuncia al Ceta per preoccupazioni simmetriche a quelle europee: la difesa della qualità delle produzioni alimentari locali, l'arrivo di grandi quantità di formaggi europei che metteranno a rischio la redditività del settore lattiero-caseario e impatti negativi sui settori avicolo e suinicolo che in Canada sono protetti da mano federale. C'è anche forte preoccupazione per un annacquamento dei meccanismi di protezione del settore bancario canadese, meccanismi che hanno permesso al Canada di uscire quasi indenne dalla crisi del 2008. Gli ambientalisti temono che le politiche canadesi di sostegno alle energie alternative possano essere messe in discussione dalle imprese europee. D'altro canto la potente industria energetica canadese ha già cominciato a chiedere - e ottenere - una revisione dei blocchi alle importazioni dell'inquinantissimo petrolio dall'Alberta. La giornalista e attivista canadese Naomi Klein scrive: "Permettere ad un oscuro trattato commerciale adottato con pochissima discussione pubblica di avere questo genere di potere su questioni di primaria importanza per il futuro dell'umanità, mi sembra una follia".

Su queste giuste riserve vanno ad innestarsi posizioni retrograde di tipo protezionistico, che perdono di vista i veri punti critici dell'accordo e ne attaccano invece gli elementi più progressivi, come la promozione del commercio internazionale con l'aumento di ricchezza e posti di lavoro che ne deriva per entrambi i contraenti.In Italia è stata scatenata negli ultimi anni una campagna a base di notizie inesatte contro il grano duro canadese - che è già a regime di dazi agevolati e non verrà quindi toccato dal Ceta - senza considerare che l'intera filiera semoliera-pastaria ha per l'Italia una redditività tre volte superiore, per unità di prodotto, a quella della materia prima per il Canada.In conclusione, il Ceta è certamente perfettibile e merita di essere sorvegliato da vicino per il pregiudizio che potrebbe arrecare alle politiche pubbliche in tema di salute, protezione ambientale e sicurezza economica ed occupazionale. Ma attaccarlo perché abbassa le barriere invece di alzarle è una posizione sterile e regressiva.

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