La Nuova Sardegna

Intervista a Babudieri: «Tra 10 giorni ci sarà il picco dei contagi da Covid»

di Luigi Soriga
Intervista a Babudieri: «Tra 10 giorni ci sarà il picco dei contagi da Covid»

Il direttore di Malattie Infettive di Sassari: questo è il mese decisivo «L’enorme cluster nel Nord est ci costerà. A tutti consiglio di vaccinarsi contro l'influenza, facilita la diagnosi»

01 settembre 2020
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SASSARI. Settembre sarà un mese cruciale, dove ci si gioca un bel pezzo di futuro, le scuole, lo sport, il lavoro, la quotidianità e anche qualche vita umana. Il direttore di Malattie Infettive dell’Aou di Sassari Sergio Babudieri aveva appena assaggiato un antipasto di normalità. «Avevo preso casa ad Alghero, passeggiavo per strada senza mascherina, assistevo al “liberi tutti” dei ragazzi in spiaggia. E quella totale assenza di regole quasi non mi faceva più effetto. Lasciavo il pensiero distante, la mia percezione era di serenità. Perché anche la mia visione da medico si stava riallineando con la prospettiva di una esistenza lontana dal virus. La gente mi vedeva in ristorante e pensava: ah beh, se c’è Babudieri al tavolo, allora è tutto tranquillo. Possiamo entrare. E non sapevo che io ero serafico quanto loro».

Il cluster in Costa. L’incantesimo si è rotto in un amen, e il risucchio nella realtà, è stato veloce, inaspettato, e ha colto tutti di sorpresa. «Ciò che è successo nel Nord Est dell’isola lo ritengo un’anomalia comportamentale, sociale, con risvolti di delirio di onnipotenza. Ora, il Covid in estate ha una carica virale più bassa, e bastava poco per tenerlo a bada. Siamo partiti da una situazione Covid free. Ma concentrarsi così nelle discoteche senza proteggersi con le mascherine, è stato da folli. Il virus, poveretto, ha trovato un’autostrada aperta e ha pensato: e che faccio? Mi fermo qui? Col senno di poi, io che da sempre sono contrario alle chiusure delle attività, dico sarebbe stato più saggio impedire le aperture. Quel cluster ha dimensioni enormi, e la portata la vedremo solo tra due settimane». «Santo Stefano è la cartina di tornasole di come funziona il virus. I numeri non mentono: 475 persone nel resort, 26 positivi e di questi 19 fanno parte del personale della struttura. Come si spiega? Semplice: quando i camerieri erano al lavoro e avevano contatto con gli ospiti, usavano la mascherina. Quando si ritrovavano tra di loro, nell’edificio riservato ai dipendenti, dove avevano le stanze per dormire, giravano senza la mascherina. Ecco come si sono contagiati». «Molti non hanno ancora capito i tempi di propagazione del virus. Sento dire: sono venuto a contatto con un contagiato, e ancora non mi fanno il tampone. E certo che non te lo fanno, sarebbe inutile: perché nei primi 9 giorni darebbe esito negativo. È il periodo di incubazione, e il soggetto non è infettante. Per questo dico che il peggio arriverà da qui a dieci giorni».

Le previsioni. «Lo scenario più devastante che posso aspettarmi in autunno è questo: le persone accusano i primi sintomi, febbre, tosse, ecc. Si rivolgono al proprio medico di famiglia, e lui li indirizza al pronto soccorso. Sarebbe il modo migliore per rimandare in tilt la sanità, che non sarebbe in grado di gestire un’ondata simile di potenziali positivi. La palazzina di Malattie Infettive è un concentrato di tecnologia, e la lotta al virus dovrebbe focalizzarsi in questi ambienti attrezzati e totalmente sterili. Basta provare ad aprire una qualsiasi porta, qui dentro, per capire di cosa parlo». Giù la maniglia della porta di un bagno, si avverte una strana resistenza. È la pressurizzazione: l’impianto di aerazione e il ricambio d’aria è a pieno regime. «È importante la diagnosi precoce del virus e la somministrazione dei farmaci direttamente a casa. Dalla mia esperienza non esistono pazienti del tutto asintomatici: esistono solo pauci sintomatici. Perché, se poi vai a sondare nel dettaglio, tutti hanno accusato il dolorino muscolare, il brividino, il piccolo raffreddore. I 4 pazienti che ora abbiamo in terapia intensiva, sono qui perché non hanno colto subito i segnali e non sono stati trattati per tempo. Se avessero preso antinfiammatori ed eparina a casa, non sarebbero arrivati con una situazione compromessa».

Il vaccino antinfluenzale. «Uno dei motivi per cui consiglio a tutti di fare il vaccino antinfluenzale, dal giovane all’anziano, è proprio questo: riduce drasticamente il ventaglio di sintomi e rende la diagnosi più semplice. Se accusi febbre e sei vaccinato, il campanello d’allarme suona subito. E anche per noi medici identificare le cause di quella febbre è più immediato. Un conto è eseguire un tampone con reagenti a 360 gradi, un conto è escludere da subito la metà delle ipotesi. Tutto diventa più svelto e più economico. Per questo ho chiesto a tutta la mia equipe di vaccinarsi, e sono convinto che tutto il personale sanitario debba fare lo stesso». Due giorni fa, le raccomandazioni su Whatsapp inviate agli amici dal professor Babudieri sono diventate virali. «Ora vi racconto come è andata. Mi stavo rendendo conto che il dito era puntato sui ragazzi, si sta scaricando tutta la responsabilità su di loro. E allora, da anziano addetto ai lavori, mi sono sentito di dare un consiglio agli amici del Rotary club. E il senso era questo: quanti sono i ragazzi che hanno fatto la stagione e sono tornati a casa? Quanti di loro hanno baciato mamma, nonni e sorelle? Ormai dobbiamo comportarci come se il virus fosse dappertutto, e dobbiamo accettare anche la possibilità di contrarlo. Questo almeno sino a tutto il 2021, perché i tempi per il vaccino sono ancora lunghi. E siccome non possiamo rinchiuderci in casa, allora non resta che conviverci nel modo più intelligente e coraggioso possibile. L’unica possibilità è quella di proteggerci. Perciò ai miei amici ho semplicemente scritto di non sottovalutare la situazione e di usare le due precauzioni che ti preservano dal contagio: la mascherina e la distanza di due metri. E dico due, perché in questo modo la gente almeno si tiene a un metro».

Niente lockdown. «È pieno di scettici, lo so. E i negazionisti e i complottisti mi fanno pena. L’unica cosa che mi viene da dir loro è: poveracci. Un altro lockdown non ce lo possiamo permettere, e se non usiamo quell’intelligenza e quel coraggio di cui parlavo, allora non ne usciamo. Noi medici in questa battaglia abbiamo ancora armi spuntate. I farmaci prescrivibili cambiano ogni mese, navighiamo a vista. Il covid è subdolo e si presenta con tre complicanze: polmonite, tempesta infiammatoria che porta all’insufficienza respiratoria, e alterazioni nella coagulazione. E da qui anche ictus e infarti. Cinque mesi di studio non ti danno evidenze scientifiche, e noi lavoriamo solo sull’anedottica. Sappiamo ancora poco del virus. È imprevedibile. Io non ho paura, ma perché non ho avuto il tempo di averne. Ma sarei molto felice di non prenderlo, e vorrei lo stesso per le persone care. Per questo arginare da subito la diffusione è cruciale. I tamponi a tappeto sono una soluzione dispendiosa. Per ora, con questo livello di allerta, tracciare cluster per cluster è più praticabile. Ma a breve c’è l’incognita scuola: aprire, non aprire? Non si sono messi d’accordo nella conferenza europea dell’altro ieri e non hanno trovato una linea condivisa. Figuriamoci se posso pronunciarmi io. Dico solo che pretendere le mascherine e il distanziamento rigoroso tra i bambini sarebbe folle. Quindi aprire significa mettere in conto eventuali contagi. E prepararsi a gestirli».

Due metri. «In Malattie Infettive noi siamo pronti. Abbiamo 4 posti in terapia intensiva, tutti occupati e altri 4 pazienti li abbiamo trasferiti nelle terapie intensive delle Cliniche, in attesa che al primo piano, nell’arco di due settimane, si rendano disponibili altri 6 posti letto. Se tutti facciamo la nostra parte, il sistema regge. Ma mascherina e due metri».



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