Riccardo, ex cuoco: «Troppo impegno e stress ho mollato per salvarmi»
SASSARI. La prima stagione aveva il sapore della punizione: «Non volevo studiare, allora mamma mi ha detto “vai a lavorare”». Riccardo Lorenzoni, 32 anni, di Sassari, all’epoca era un quindicenne che faceva fatica a immaginare il suo futuro. «Ma non ci ho messo tanto a capirlo, il mondo della ristorazione mi ha conquistato in fretta. Ho fatto un bel po’ di gavetta, ci ho messo impegno e la mia ambizione mi ha aiutato ad emergere».
A 22 anni Riccardo spadellava primi piatti in sala davanti ai clienti di un resort a 5 stelle nel Cagliaritano, pochi anni dopo era già un terzo livello, che per un cuoco è un vero traguardo: «Significa avere la gestione di una cucina, dal personale alla spesa giornaliera. Vuol dire curare il menù, apportare i cambiamenti, verificare che non manchi alcun ingrediente, controllare le scadenze ecc ecc. In poche parole, lavorare molte ore ore al giorno, rientrare a casa di notte senza staccare mai la spina, perché stai già pensando a quello che devi fare l’indomani». Gli ultimi quattro anni da cuoco Riccardo Lorenzoni li ha trascorsi alle Botticelle di Bacco, ristorante vineria in via Torre Tonda a Sassari.
Un anno fa la decisione: «Ho mollato, ho cambiato lavoro. Ho aperto la partita Iva e vendo impianti di condizionamento. Sono felice, sono padrone del mio tempo, lo rifarei cento volte». L’addio alla ristorazione non è stato doloroso «e con i titolari ho mantenuto un ottimo rapporto. Li stimo, con me sono sempre stati onesti e corretti. Ma io non potevo andare avanti, non di certo per colpa loro ma perché tutto il sistema della ristorazione negli anni è cambiato moltissimo».
A iniziare dai compensi: «In una delle mie primissime stagioni, da ragazzino, ho portato a casa duemila euro al mes. E non avevo responsabilità. Negli ultimi anni lo stipendio non superava mai i 1400-1500 euro al mese, a fronte di un impegno superiore alle 10 ore al giorno. E io ero abbastanza fortunato, perché il compenso arrivava regolarmente, godevo di rispetto e di autonomia. Ma non ne valeva la pena perché il sacrificio era enorme. Se sei il cuoco e alle 23 arriva un cliente, gli devi dare da mangiare e torni a casa di notte. I festivi non esistono, i pranzi o le cene in famiglia te li scordi, gli amici li vedi di sfuggita se passano a trovarti al locale. E sei stressato, stanco e ti senti logorato. Nel mio caso non potevo prendermela con nessuno: i titolari del locale pagavano quello che potevano perché anche per loro non era semplice fare quadrare i conti. I ristoratori hanno una tassazione pazzesca alla quale si è aggiunto un rincaro incredibile delle materie prime: pochi si arricchiscono, la maggior parte mette da parte normali stipendi. Io a un certo punto sono arrivato al limite, ed è stato decisivo il lockdown. Quando il locale era chiuso ho riassaporato il piacere di trascorrere del tempo a casa, con la mia compagna, con la famiglia e con gli amici. Mi sono liberato dello stress accumulato, ho ricominciato a respirare».
Di fronte alle lamentele di tanti ristoratori “non troviamo personale, preferiscono il reddito di cittadinanza”, Riccardo sorride: «È vero, il sostegno al reddito ha avuto un ruolo. Perché tanti, camerieri, lavapiatti e aiuto cuochi, di fronte alla prospettiva di lavorare tantissimo, abbandonare la vita sociale e guadagnare mediamente poco, preferiscono tenersi il sussidio. Quando gli aiuti termineranno, tanti saranno costretti ad accettare perché non avranno scelta. Ed è profondamente ingiusto».