A Olbia in scena gli artigiani della tecnologia: il futuro è a portata di mano
Appuntamento con la Maker faire Sardinia
Olbia. Presentata come la fiera dell'innovazione, vien facile pensare al mondo di domani. Invece, la Maker faire Sardinia cerca con forza di far capire che tutti quei vocaboli tecnici che da ieri a domani espositori e pubblico usano, in realtà fanno già parte del quotidiano. A Olbia, il fine settimana è dedicato alla tecnologia, ai «maker» che sono poi artigiani che al posto dello scalpello usano i fili elettrici e assemblano oggetti creati con le stampanti 3D. I banchetti dei creatori creativi, in fila uno a uno sui vari piani del museo archeologico, sono dei piccoli scrigni e racchiudono lavorazioni che suonano come novità o quantomeno come originali rivisitazioni. In quasi tutti i casi, è il gioco che ha incontrato il mestiere; capita facilmente di sentire il maker di turno orgoglioso, ma pure imbarazzato perché la fiera è una parentesi tra le ore passate in cantina, ammettere che è cominciato tutto per provare e «ora ho aperto la partita iva e sono autonomo».
I robot sono il punto di contatto maggiore con la concezione di tecnologia, dalle piccole braccia che eseguono meccanicamente gesti elementari a quelli dotati di corpo che compiono movimenti più completi (e persino un robot che dipinge e crea quadri, sembra già un mondo distopico).
Poi c'è la passione per l'intrattenimento che diventa attività a tempo pieno, è un interessante capovolgimento, come quello dei ragazzi di Novus ordo makers di Tula: le bacchette di Harry Potter forgiate con stampini precisi, il calco di Tutankhamon che sembra un furto compiuto direttamente dal Cairo per cura dei dettagli, le armature a grandezza naturale di Ironman e Gundam. Creazioni nate per riempire il tempo libero e adesso lavoro principale, «più che altro è da sottolineare la pazienza di chi sta a casa e la vede riempirsi di tutti questi oggetti». Da venerdì a domenica al museo - tra i contrasti presenti, anche questo: nel luogo della storia si parla di innovazione - oltre agli elaborati meccatronici, si parla anche di videogame con una sezione interamente dedicata. E Debora Ferrari e Luca Traini di "Neoludica" di Varese hanno portato una mostra dedicata ad alcuni topoi sardi costituita da artisti di game art, dal titolo "Mama Olbia". Proprio così, «il videogioco che stimola altre forme d'arte», spiegano. E ci credono fortemente, hanno presentato anche un catalogo alla Biennale di Venezia e il ragionamento non fa una piega: «In inglese c'è una netta differenza tra play e game, in italiano dire videogioco ci fa rimanere a una dimensione bambinesca - così Debora, che è critica d'arte contemporanea -. Ma se si va a guardare l'evoluzione dei giochi, in alcuni casi si sono raggiunti livelli al pari di film e altre forme artistiche».Le trame, gli approfondimenti, le descrizioni. Su tutti, «l'accuratezza che ha un videogame come Assassin's creed è universalmente riconosciuta»: perché Firenze o Venezia viste da quello schermo sono con precisione millimetrica le stesse della vita reale. Francesco Delrio, di Sassari, è uno degli artisti. Lui è un fotografo, ma nei videogiochi. Cioè: lui impugna il joystick, quando vede uno scorcio particolare, un personaggio dal volto curioso, un panorama unico, mette la modalità foto, ormai diffusa nei giochi, e scatta. Nuove frontiere di arte visiva.Tra i corridoi fieristici, poi, si capisce una cosa non scontata: che maker non significa solo vedere nuovi materiali, ma anche riuso dei materiali sotto un'altra forma. Gli ideatori di Lebiu design di Calangianus sono un esempio pratico, loro che creano jeans, giacche e stoffe ricavate dagli scarti dei tappi in sughero. Piccoli spunti di una grande fiera che abitualmente riunisce città in tutto il mondo e per la prima volta approda nell'isola, mettendo d'accordo anche diverse istituzioni del territorio come partner.L'ingegnere del Fab Lab Olbia Antonio Burrai, ideatore dell'evento, che due anni fa era stato proposto come "Maker island" e oggi arriva con le insegne del Faire, commenta annunciando di un articolo uscito "su una rivista internazionale di settore che celebra la cultura regionale dell'innovazione. Quello che volevamo: non una dimensione olbiese, non del nord Sardegna, ma di tutta l'isola - fa parte del claim della fiera -. Il termine "Glocal", usato dall'antropologo Bachisio Bandinu e nostro ispiratore, racchiude al meglio la nostra idea. Partire dalle risorse locali e confrontarle con l'ambizione di collegarsi con il mondo". Il massimo esempio del primo giorno di rassegna è stato l'ingegnere e designer Marco Verde, eccellenza sarda, che ha spiegato i suoi lavori di architettura tra artigianato e robotica e applicati al sociale.