Il calo demografico è irreversibile, nel 2050 sarà l’isola dei pensionati
Negli ultimi anni il divario fra nord e sud è aumentato e la Sardegna si è allontanata parecchio dalle regioni centrali
Cagliari Il divario nord-sud del paese cresce, e la Sardegna, che prima della crisi del 2007 era più vicina al centro del paese che al meridione, ha perso molte posizioni. La sua crisi da endemica può diventare patologica e irreversibile se non si attuano subito politiche che combattano un profondo e drammatico calo demografico a tutt’oggi irreversibile. Un dato su tutti.
Secondo gli ultimi indicatori Istat il tasso di fecondità della Sardegna nel 2021 era inferiore a 1, a confronto del 1,4 del Trentino e di 1,7 dell’Alto Adige. Con questo dato gli scenari giapponesi o della Corea del sud sarebbero quasi auspicabili, solo che lì si parla di nazioni ricche, qui di una isola piccola e non ricca. In realtà le prospettive sono ancora più fosche. La popolazione tra i 15 e i 64 anni, quella in età da lavoro, se nel resto del paese supererà al 2050 il 53 per cento, in Sardegna sarà al 48 per cento. Poca produttività, mercato del lavoro asfittico, crescita di disuguaglianze.
Di questi temi si è discusso ieri nell’aula magna dell’Università di Cagliari durante la presentazione sarda del rapporto di Bankitalia sul divario nord-sud tra sviluppo economico e intervento pubblico. Dopo i saluti del rettore Mola e del direttore della Filiale di Cagliari dell’Istituto Stefano Barra è toccato a Antonio Accetturo, della Filiale di Trento, e Roberto Torrini, del servizio struttura economica, illustrare il rapporto che registra un divario crescente sia sul lato della produttività tra le due aree del paese che su quello del mercato del lavoro, in entrambi i casi legati al calo della popolazione in età da lavoro, che se nel centro nord è contenuto in un -10 per cento al sud arriva a - 25 per cento. La doppia recessione del 2007 e del 2013 ha inferto un colpo esiziale all’economia dell’isola. Se nel 2007 la Sardegna aveva un Pil, simile a quello di Lazio, Abruzzo e Puglia, nel 2019 è andata in coda a questa non invidiabile classifica, in compagnia di Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia. Tra le ragioni evidenti, la crisi del sistema industriale primario, e la crescita dei servizi, che non compensano però il primo dato. A un sistema produttivo debole si accompagna un sistema finanziario che risente sì di una minore domanda di credito, ma non, senza sorpresa per gli addetti ai lavori, dell’allontanamento dal sud dei centri decisionali delle banche. In sostanza, l’acquisizione delle banche del sud ad opera di istituti di credito radicati nel centro nord non è stata di per sè elemento di freno nel mercato del credito.
Ma è il fattore demografico e i suoi profondi effetti sulla società, ad essere stato al centro dell’intervento di Rosario Maria Ballatore, della sede di Cagliari, che ha messo in evidenza ciò che diplomaticamente ha chiamato «rischio demografico reale, da affrontare con politiche mirate e robuste che però possono dare i loro frutti solo in un arco prolungato di tempo». La progressiva riduzione della popolazione attiva in un territorio vasto, con un mercato interno debole e poco aperto all’esterno racconta una Sardegna destinata a una oggettiva marginalità nel Mediterraneo. A meno che non si attuino politiche attrattive convincenti o si intervenga in maniera decisa contro lo spopolamento.