L’Aids non fa più paura, ma nell’isola la diagnosi arriva tardi
Sono circa 2500 i positivi Hiv in cura. Giordano Madeddu (Infettivi): «C’è anche un 10% di sommerso»
Sassari Negli ultimi anni le cose sono cambiate parecchio. Di Hiv e Aids non si muore più, e non sono più la malattia degli omosessuali e dei tossicodipendenti. Soprattutto questa categoria appartiene al passato, e costituisce appena l’1% della diffusione del virus. Ora la circolazione avviene quasi sempre attraverso i rapporti sessuali non protetti, di qualunque natura essi siano. Gli ultimi censimenti a livello nazionale risalgono al 2022. L’anno scorso sono state notificate 403 nuove diagnosi di Aids, pari a un’incidenza di 0,7 per 100.000 residenti. Per quanto riguarda invece l’Hiv sono 1.888 le nuove diagnosi di infezione da Hiv pari a un’incidenza di 3,2 nuove diagnosi per 100.000 residenti.
«La Sardegna rispecchia il trend nazionale – spiega il professor Giordano Madeddu dell’unità di Malattie infettive dell’Aou di Sassari – con una diminuzione generale dei nuovi casi negli ultimi due anni. Ma c’è un fattore negativo e i dati sardi sono peggiori della media italiana: il 61,3 % delle diagnosi di Hiv sono tardive, e lo stesso vale per il 45% dei casi di Aids». Questi due dati sono significativi e meritano attenzione: «Vuol dire che ci sono molte persone infette che non sanno di esserlo, e che si trovano in questa situazione da diversi anni. E significa anche che in Sardegna le campagne di sensibilizzazione per l’Hiv e l’Aids non sono abbastanza capillari ed incisive. Occorre lavorare di più su prevenzione e comunicazione».
C’è chi sta decisamente peggio di noi. Se in Sardegna l’incidenza dell’Hiv per 100mila abitanti è di 2,1 casi, in Europa di passa a un’incidenza di 5. «Ma lo scenario più allarmante resta nell’Europa dell’Est, dove l’incidenza è di 30,7. Purtroppo in Ucraina, Lituania, Lettonia, Russia e via dicendo, le modalità trasmissive sono ancora quelle dello scambio di siringhe tra i tossicodipendenti, esattamente come avveniva da noi 30-40 anni fa. Significa che il potenziale di contagi resta esplosivo, e l’epidemia a quelle latitudini per ora è destinata a crescere».
In Sardegna le persone affette da Hiv sono circa 2500. «A queste va aggiunto un 10 per cento di sommerso, per cui in totale si arriva a 2700 soggetti. Il reparto di Malattie infettive di Sassari ha in carico 800 persone dal nord Sardegna».
La loro aspettativa di vita ormai è identica a quella di una persona sana. «Anzi, una statistica curiosa che viene dalla Danimarca, dice addirittura che i malati di Hiv campano di più. E questo perché il virus con le terapie è soppresso, le cure ormai non sono ben tollerate, e poi perché i pazienti vivono costantemente monitorati dalle equipe mediche, che prelevano il sangue e controllano il colesterolo e tutti gli altri valori». La strategia globale da raggiungere entro il 2030 fissa il target 95-95-95. «I numeri indicano che il 95 per cento delle persone infette da Hiv dovrebbero sapere di averlo contratto, dovrebbero iniziare subito la terapia, e dovrebbero sopprimere il virus. Si lavora con le campagne di screening, l’assunzione di farmaci in modo da negativizzare la carica virale e fare in modo che la persona dopo sei mesi non possa più contagiare il virus».
Le cure hanno fatto enormi passi avanti: «La più diffusa resta la classica compressa orale da assumere quotidianamente. Ma ci sono anche le terapie di mantenimento con delle iniezioni fatte ogni 2 mesi e tra un anno si arriverà alla puntura sottocutanea fatta una volta all’anno. Per quanto riguarda invece la prevenzione, oltre al preservativo c’è la Prep, cioè la pillola pre esposizione. È gratuita, viene distribuita nelle farmacie ospedaliere, e viene assunta 24 ore prima e 24 dopo il rapporto a rischio infezione. Finora ci sono 20 persone, sex workers, che prendono la Prep in maniera continuativa».