La Nuova Sardegna

L’intervista

Il re della griglia Roberto Pintadu: «Se la carne coltivata è buona mangiamola»

di Luigi Soriga
Il re della griglia Roberto Pintadu: «Se la carne coltivata è buona mangiamola»

Lo chef sardo gestisce il ristorante più trend di Torino: «Non chiudo la porta al cibo del futuro»

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Sassari Per affondare il coltello nella carne di Kobe, con la lama che sprofonda in una morbida frolla di sapore, c’è chi è disposto a sborsare 600 euro al chilo. Nel menù alla carta del Bifrò, il ristorante di carne più trend di Torino, i prezzi sono quelli. Il titolare si chiama Roberto Pintadu, ha 49 anni ed è di Tula. Roberto è un perfezionista della griglia, ma è anche un asador atipico, dalle ampie vedute e un tantino fuori dalle righe. Ad esempio, uno che campa dalle bistecche ricamate da un reticolo di grasso che sembra fatto a uncinetto, dovrebbe storcere il naso davanti alla prospettiva di adagiare sulla graticola un dischetto di carne sintetica. E invece: «Io non ho alcun pregiudizio – dice – se dovesse essere buona, perché non cucinarla e mangiarla? Se invece è una schifezza, pazienza, ne faremo a meno. Ma non mi sento di chiudere le porte a un cibo del futuro, così, per partito preso. Prima proviamolo, e poi si vedrà. D’altronde ad assaggiare non è mai morto nessuno, io ho mangiato le cavallette fritte e sono sopravvissuto, e non posso provare la carne coltivata?». Dietro questa curiosità, c’è però una coerenza più profonda, e anche un’ulteriore sfaccettatura singolare di Pintadu.

Sardo, figlio di allevatori che sin da bambino ha assistito allo sgozzamento del maiale e degli agnelli, ha coltivato un personale rispetto per la vita degli animali da macello. «In fondo sono un carnivoro filo vegano – scherza – vorrei che le bestie da allevamento, prima di arrivare alla morte, compissero un ciclo di vita completo. Personalmente non ucciderei un agnello o un maialetto, non ne sarei capace. E se dovesse andare a macellazione, aspetterei che diventasse grande. Ma ho rispetto per la tradizione gastronomica della Sardegna, è millenaria, e non mi metterò certamente a criticare chi cucina l’agnello. Dico solo che ciascuno è libero di fare le proprie scelte. Io preferisco servire a tavola gli animali adulti, la cui carne, se lavorata con le giuste tecniche, può diventare ben più tenera e saporita». L’antico motto, gallina vecchia fa buon brodo, è quantomai moderno: «Le vecchie vacche che provengono dalla Spagna o dalla Polonia, sono molto più pregiate e ricercate di un giovane vitello magro. Alla fine si può preservare la qualità di vita degli animali, senza perdere da un punto di vista commerciale. Per esperienza dico che la materia prima fa la differenza. L’eccellenza nella carne la può dare solo un bovino vissuto al pascolo, alimentato nel giusto modo, con un buon grado di marezzatura, cioè la ragnatela di filamenti di grasso. Non di certo un animale nato e cresciuto negli allevamenti intensivi». Poi naturalmente, conta la mano e la maestria del grigliatore: «Io uso la tecnologia, e anche discretamente costosa, per la frollatura e la maturazione delle bistecche. Ma una volta che finiscono sul fuoco, mi regolo con l’occhio e l’esperienza. Non ci si improvvisa davanti a una graticola, occorre studio per avere ottimi risultati».

Altrimenti ci si accontenta del barbecue di campagna, in una domenica di sole. «L’errore più comune è quella di lesinare con la legna o il carbone. La brace deve essere sempre abbondante, la temperatura alta. Non bisogna mai far seccare la carne all’interno. E il mito di sigillare le fiorentine, facendo formare velocemente una crosticina in tutti i lati per non far colare il sangue, è una solenne cavolata. Può servire a dare un tocco di sapore, ma non a rendere più succulenta la bistecca». Bifrò, che poi non è altro che l’acronimo di “Bistecca Frollata”, negli anni ha raccolto diversi premi, è entrato di diritto nel World's 101 Best Steak restaurant, ha il tutto esaurito nonostante i prezzi non esattamente popolari. Chissà se Roberto Pintadu, un giorno, potrebbe far concorrenza al collega Salt Bae, quello che fa piovere il sale sulla carne dal gomito, e imbocca i clienti di bocconi succulenti di carne, infilzati il suo coltello affilato. «Quello è inarrivabile. È riuscito a fare ciò che tutti noi proviamo a fare da anni: i soldi veri. Io non sono male alla graticola, ma sono timidamente social. Su quel versante ho ancora tutto da imparare».

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