Olbia, a tavola con i re: la leggenda di Rita Denza
La storia della regina della cucina sarda e del ristorante Gallura. «Il migliore del mondo» secondo Luigi Veronelli
Olbia. Dieci anni senza Rita Denza fanno male. Gli appassionati di cucina e di cose olbiesi (non necessariamente in quest’ordine) conoscono bene quel senso di vuoto che toglie il fiato ogni volta che si percorre il Corso e lo sguardo cade fatalmente sulla facciata del ristorante Gallura, al civico 145. Il migliore del mondo, come l’aveva definito Luigi Veronelli, non proprio uno qualsiasi. Una volta era un tempio sacro della buona tavola, oggi è solo una porta chiusa, sporca, graffiata dal tempo. E se per avventura qualcuno dovesse varcare quella soglia verrebbe sopraffatto da un macigno di ricordi e dalla spiacevole sensazione del tempo che passa e che non torna mai indietro. Sì, perché il Gallura non era “solo” un ristorante, era il luogo metafisico dove, come in un rito di iniziazione, una sacerdotessa laica dispensava sughi e consigli, cozze e sorrisi, Chablis e dolci carezze. Lasciatevi cullare voi che entrate, e pazienza se pagate un botto quando uscite. La qualità costa, e comunque ne sarà sempre valsa la pena.
Rita Denza è morta in un letto d’ospedale il 5 luglio del 2014, all’età di 77 anni. Era malata da tempo e aveva il cuore spezzato da una sentenza di sfratto che l’aveva costretta a inchinarsi al dio denaro e a chiudere per sempre il suo amato ristorante di Olbia. Da allora non ci sono più i suoi piatti sopraffini, né le sue ricette temerarie. Tanto meno la sua collezione di galli (tremila pezzi di qualunque foggia e materiale), Non ci sono eredi né maestri di cucina capaci di raccogliere il suo testimone. La sua “brigata” si è dissolta in un “liberi tutti” che ha lasciato alle spalle un’esperienza straordinaria. Resta solo Arnaldo Pascal, il compagno di una vita (si erano conosciuti nel 1973 e da allora avevano condiviso tutto). Soprattutto non c’è più la sua quotidiana guerra alla banalità del pranzo o della cena intesi come la semplice necessità di mangiare invece che la passione di scoprire.
Una perdita enorme per Olbia, che per sempre pagherà un debito di notorietà e riconoscenza a questa sua cittadina più che illustre. Tra gli omaggi più sentiti e commoventi quello dell’Accademia italiana della cucina, gli amici di una vita che nel 1992 le conferirono il diploma di “Cucina eccellente”. Nel giugno 2020 sul periodico “Civiltà della tavola” scriveva Maria Ausilia Fadda, grande archeologa e accademica di Nuoro: “...Nella sua cucina Rita ha riversato tutto il bagaglio di conoscenze ereditato dalla famiglia e queste antiche tradizioni sono all’origine della scelta di cucinare ancora con la stufa a legna che le consentiva di ripetere inalterati i sapori di un tempo nei suoi piatti...”. Tanta grandezza, eppure Rita Denza era una donna umile e sincera, lontana mille miglia dalla dolce vita e dal bel mondo che frequentava il suo ristorante. Soprattutto era una persona straordinariamente generosa.
L’immagine più sincera è ancora davanti agli occhi di tutti gli olbiesi: quella donna minuta che attraversava il Corso, dal suo ristorante verso la vecchia stazione ferroviaria. Indossava un grembiule da cucina e avanzava con passo deciso, tra le braccia una grande pentola coperta. Si dirigeva verso la mensa dei poveri. Lei, inarrivabile regina dei fornelli, cuoca di teste coronate e star di Hollywood, ancora una volta aveva cucinato per gli ultimi della città. Nessuno stupore, Rita Denza era così: la sera al tavolo dei principi, di giorno al desco umile di chi ha perso tutto o non ha mai avuto niente. Tanto, che differenza fa? Un cuore grande così, rinchiuso in un corpicino minuto e claudicante. Un’infinità di estimatori in terra e neanche un santo in paradiso, perché tutta questa straordinaria generosità di certo non è stata ripagata negli ultimi anni di vita.
La chiusura del locale per sfratto dopo mezzo secolo di attività (70 anni se si considera la gestione del padre Angelo), la malattia e poi la morte in ospedale. Era l’estate del 2014. Morta due volte, aveva scritto allora La Nuova Sardegna facendo riferimento alla morte fisica prima e alla morte “politica” poi. Nel senso che sulle spoglie e sulle memorie del Gallura (chiuso ormai da undici anni) si sono allungate le ombre del degrado e dell’abbandono o addirittura il pericolo di una possibile speculazione immobiliare. Oggi, infatti, il futuro della palazzina identificata da tutti come l’albergo-ristorante è più che mai incerto. In piena pandemia, nel 2020, l’edificio è stato acquisito dalla Resort Sardegna dell’imprenditore ligure Gabriele Volpi, uomo d’affari noto in Italia e all’estero, con interessi nel settore della logistica petrolifera in Africa, nella finanza e nello sport. Ex patron dello Spezia nel calcio, numero uno della Pro Recco di pallanuoto. Il Gallura doveva essere il fiore all’occhiello di una sfarzosa campagna acquisti in Sardegna. Prima l’Arzachena calcio, poi nuove aperture del marchio Ten Food con due ristoranti griffati California bakery a Olbia e Porto Cervo (andati male e oggi chiusi), per non parlare dello storico Selis hotel ad Abbiadori trasformato nel lussuoso albergo-ristorante Delle Rose.
Per il Gallura si erano riaccese le speranze di una nuova vita, ma tutte le aspettative sono rimaste sulla carta e l’edificio è sempre lì, chiuso e abbandonato al suo destino. Uno schiaffo alla storia e alla memoria della città. Da qualche parte nel cielo Rita Denza guarda con una smorfia triste quel che accade laggiù. Il suo sogno non era diventare ricca e famosa, piuttosto lasciare in buone mani la sua creatura e non spegnere mai la fiamma della buona cucina.