La Nuova Sardegna

L’allarme

Pecore israeliane e francesi negli allevamenti sardi: scoppia la polemica

di Claudio Zoccheddu
Pecore israeliane e francesi negli allevamenti sardi: scoppia la polemica

A I pastori senza bandiere: «L’utilizzo del loro latte cancellerebbe le qualità di prodotti come il pecorino romano»

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Sassari Pecore “esotiche” per la produzione del pecorino romano, un affare che rischierebbe di distruggere una delle produzioni più floride dell’industria casearia isolana. L’allarme lo lanciano i “pastori senza bandiere”, gli stessi che nel 2019 avevano organizzato e portato avanti la “guerra del latte”, la clamorosa protesta che aveva catalizzato l’attenzione di tutto il Paese sul prezzo del latte.

Ora l’obiettivo è puntato sull’invasione delle pecore straniere negli allevamenti sardi, soprattutto le francesi Laucone e le israeliane Assaf, adatte agli allevamenti intensivi e, dunque, più produttive. A dire il vero, i pastori ragionano in prospettiva e lanciano una sorta di avvertimento preventivo perché, anche se è difficile fare un censimento preciso, attualmente solo il 2 o 3 per cento dei 3 milioni di capi ovini allevati in Sardegna ha il passaporto straniero. Circa 90mila capi, insomma, non possono compromettere lo status dei prodotti caseari isolani, come il pecorino romano, ma se dovessero aumentare, aumenterebbe anche il rischio. A maggior ragione se una parte del comparto spingesse per una soluzione simile.

La denuncia «Il Consorzio del Pecorino Romano ha ricevuto un parere positivo da parte del ministero dell’Agricoltura riguardo la modifica del disciplinare di produzione. Ci riferiamo all’articolo 5 – spiegano Gianuario Falchi, Nenneddu Sanna, Mario Carai e Fabio Pisu – che chiarisce, con estrema precisione, il fatto che il latte utilizzato per la produzione della Dop del Pecorino Romano debba obbligatoriamente provenire, oltre che dagli storici areali di produzione, anche dalle razze storiche che in sono sempre state allevate in questi areali, vietando la costituzione degli allevamenti stallini basati su razze estere migliorate che, pur trovandosi fisicamente nelle aree di origine, snaturassero il sistema di allevamento tradizionale».

I pastori, poi, citano la risposta del ministero al Consorzio: «Le razze ovine indicate nella proposta di modifica sono quelle storiche che nel corso del tempo hanno caratterizzato l’area di origine. Per questa ragione si rende necessario salvaguardare il patrimonio genetico delle razze ed il modello sociale, evitando contaminazioni con soggetti di origine esotica che necessitano sistemi di allevamento intensivo». Quindi il consorzio del Pecorino Romano, con la benedizione del ministero, sarebbe nella scia del Roquefort francese, che investire sull’unicità del binomio “razza locale- territorio” che, secondo i pastori «è la migliore assicurazione contro la svalutazione del Pecorino Romano». Un’esperienza che fa il paio con quella del Queso Zamorano, produzione spagnola fiaccata dall’immissione di un grande numero di pecore israeliane. Una situazione che sembrerebbe garantire la più classica delle botti di ferro in cui riporre il futuro del Pecorino romano. Eppure, secondo i pastori non è così: «Qualcuno vorrebbe tornare indietro mettendo in discussione quanto concordato con il ministero e con la Commissione europea – dicono senza allegare generalità precise ma riferendosi, presumibilmente, alla sfera della produzione industriale del Romano –. Nei primi mesi del 2021 votammo a grande maggioranza nelle assemblee delle coop contro la possibilità di convertire anche una minima parte della produzione del latte in un sistema di allevamento. Una scelta giustamente confermata in un’assemblea straordinaria che si è tenuta nella sede del consorzio del Pecorino Romano, in cui i soci decisero di impedire la possibilità di destinare al pecorino romano il latte proveniente dalle “razze esotiche”. Non siamo disposti a mettere a rischio il nostro futuro per l’avidità di chi vorrebbe sfruttare il momento favorevole per inondare il mercato di pecorino romano prodotto con latte di razze estere. Se il consorzio non ratifica la modifica del disciplinare sulle razze autoctone valuteremo quali azioni sostenere», concludono i pastori che, intanto, hanno chiesto al nuovo assessore regionale all’Agricoltura, Gianfranco Satta, l’apertura di un dialogo permanente in cui discutere tutti i problemi dell’universo dell’allevamento ovino.

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